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Spalletti: “Ho abbracciato la tristezza lasciando Napoli dopo lo Scudetto”

Luciano Spalletti, ct della Nazionale, ha parlato quest’oggi in esclusiva al Corriere dello Sport: “Con l’esercizio cerco di portare il timido nella condizione ideale per alzare il livello del rendimento. Non riesco a fare niente in superficie. Il primo anno a Napoli vivevo in albergo, magnifico, mi portavano la colazione in camera. Poi ho piazzato il lettino nell’ufficio. Per non perdere un solo secondo, anche il più piccolo particolare, mi risparmiavo la mezz’ora di auto da Napoli a Castel Volturno».

Alla lunga risulti più usurato o usurante? 
(Fa una lunga pausa). «Lavoro sodo. Sono usurante due volte per me stesso. Chi motiva se stesso fa capire chi è… Chi sa motivare gli altri fa capire dove vuole andare e arrivare»».

Hai mai subìto una decisione? 
«Ho sempre deciso per me stesso. Il mestiere vuol dire 365 giorni di grande lavoro. Dopo il primo anno i miei collaboratori mi dissero “ma cosa restiamo a fare? Hanno venduto tutti”. Erano partiti Mertens, Koulibaly, Ghoulam, Ospina, Insigne, Fabian Ruiz. Tanta qualità. Io volevo sentirmi l’allenatore del Napoli e si è allenatori di una squadra soltanto se si fa qualcosa di effettivamente importante. Quando incontri De Laurentiis la prima cosa che ti dice è “secondi siamo già arrivati e dobbiamo stare sempre in Champions”. Messaggio chiaro e diretto. Così sono ripartito per ottenere quella cosa là, è successo, sarei potuto restare ancora, il grafico prestazionale l’avevamo portato al livello più alto».

Avendo avuto modo di parlare qualche volta con De Laurentiis sto provando a immaginare un dialogo tra voi due. Il solo pensiero mi manda al manicomio. 
«Io ho due orecchie e una bocca. So ascoltare e al momento giusto parlare. De Laurentiis ha una grande comunicativa, un linguaggio scorrevole. E poi dipende sempre dal De Laurentiis che ti ritrovi di fronte, ne esistono almeno quattro o cinque. Con l’intelligenza artificiale potrebbero provare a inventarne altri».

De Rossi ha qualcosa di te? 
«Credo di conoscerlo molto bene. Penso che il principale merito di Daniele, per quanto sta dando alla Roma, derivi dal fatto che fin dal primo giorno non si è voluto approfittare dell’immenso amore che i tifosi nutrono nei suoi confronti. Ha capito subito che quello poteva essere un vantaggio-boomerang e l’ha messo da parte per investire totalmente nel lavoro sul campo. Sa bene che le idee possono portare allo stadio in festa solo attraverso gli allenamenti settimanali. Non so se Daniele abbia qualcosa di me, ogni tanto però mi ricorda Mazzone, quando gli scoppia la vena ha atteggiamenti che appartenevano al grande Carletto».

Niccolo Anfosso

Giornalista pubblicista nato nel 2000. Laureato con il massimo dei voti in Scienze della comunicazione. Cresciuto a pane, sport e libri. Alla continua ricerca della perfezione.

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