Ruben Amorim, allenatore del Manchester United
Difficilmente esiste un modo migliore di presentarsi a un nuovo pubblico pochi giorni dopo aver travolto i rivali di sempre con un risultato storico a corredo. Il tutto, arricchito da una striscia di imbattibilità che dura da 17 partite, composta da 16 vittorie e un solo pareggio in Champions League. Lo Sporting – campione di Portogallo in carica – in meno di una settimana ha disintegrato il Manchester City e rimontato da 2-0 a 2-4 il Braga in campionato, sigillando il primo posto nella Liga, dove conduce a +6 sul Porto con 11 successi su 11. Si è presentato così Ruben Amorim a Manchester: le vesti di messia, il curriculum da vincente.
Basteranno a stuccare le crepe di una crisi che perdura tra qualche alto e tanti bassi da 11 anni? Forse no. Ma almeno le basi sono confortanti. Vero, lo erano anche per José Mourinho – suo mentore professionale – e per Erik Ten Hag, poi chiunque ha assistito alla piega che ha preso la sceneggiatura. Forse però – questo sperano a Manchester – le cose con Amorim possono andare diversamente. Anche perché nel suo calcio non esistono imperativi dogmatici. Il suo amato e fluido 3-4-3 dovrà infatti per forza misurarsi con una rosa non così idonea a inserirsi in questo contesto tattico, come i media inglesi hanno prontamente fatto notare.
Lo United l’ha scelto perché tuttavia crede nelle sue abilità gestionali e nella sua capacità di adattare il talento a disposizione alle sue idee e viceversa. Sarà un’incognita, come per ogni tecnico nel post-Ferguson. La Manchester rossa è diventato un buco nero, inghiottendo progetti e allenatori: Ruben Amorim deve trovare il modo di ripristinare l’equilibrio nell’universo United. Un’impresa. Ma dovesse riuscire, a Old Trafford si potrebbe finalmente tornare a gioire.
Gioele Anelli
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