Editoriale Calcio

Milanello: qui non è Hollywood

Il tempo delle chiacchiere, lo avevamo detto, è abbondantemente finito. Quello dei fatti però non inizia mai ed è questo a preoccupare più di tutto. Premessa: non nutro nessun tipo di dubbio sul Gerry Cardinale businessman, sulla sua solvibilità e sul suo prestigio. D’altronde, in altri campi e in altri investimenti, i fatti hanno parlato per lui e sarebbe ingeneroso metterli in discussione. Il tema però è che non si vive di ricordi, né di rendita, né di credito: il dubbio che stavolta Gerry Cardinale abbia completamente sbagliato investimento è lecito e molto attuale. Il problema è in primis culturale: Red Bird si è oggettivamente buttata in un campo che non gli appartiene e di cui non sa nulla. Qui non è Hollywood, ma Milanello. Immaginate che Silvio Berlusconi, il primo imprenditore della storia d’Italia, avesse deciso di investire nel baseball americano, per prestigio e per business, senza conoscerne manco le regole: il fallimento sarebbe stato garantito, per un rigetto culturale abbastanza evidente. Non solo: Cardinale ha acquistato il secondo club della storia del calcio per Champions League vinte, non un piccolo club da far crescere. Una responsabilità enorme nei confronti di un popolo, quello rossonero, che è sempre stato abituato bene. E attenzione: i risultati, il campo, in questo momento, rappresentano veramente il più piccolo e risolvibile – in teoria – dei problemi. Al Milan e ai Milanisti manca un uomo di riferimento, una persona che dimostri costantemente di avere a cuore la situazione: ci hanno raccontato che Cardinale abbia preferito non venire a Milano per i 125 per “modestia” e discrezione, ma l’altra faccia di questa medaglia, nella mentalità italiana, è il menefreghismo. Non basta e non basterà mai Ibrahimovic, che tra uscite in fuorigioco e assenze improvvise ha perso ogni tipo di credito maturato in campo in pochi mesi. Non bastano Furlani e Moncada, che sono stati buttati in pasto ai tifosi come colpevoli, ma che nel loro stanno lavorando con costanza e tenacia, visto che la parte economica vola (Furlani) e quella del player trading regala risultati medio alti (per Moncada qualche flop, ma anche e soprattutto Reijnders, Pulisic e compagnia). E che soprattutto, sono figli di un enorme equivoco: sono espressione di Elliott, non di Red Bird. Al Milan manca un Presidente, perché Paolo Scaroni è un uomo d’affari, ma non viene riconosciuto universalmente come un Milanista di titanio (era presidente del Vicenza…) né un politico calcistico di spessore. Al Milan manca un po’ di umanità e di umiltà, perché si può essere meravigliosi visionari dello sport business, ma se il modo di (non) comunicare e di (non) affrontare i momenti di crisi è questo, allora sono dolori. Al Milan manca una proprietà con un cuore. Perché se metti tutto sul business, allora devi portare immediatamente i frutti: lo stadio, che non si è visto e c’è il rischio che non si vedrà mai (certo, non con colpe tutte di Cardinale) e “trofei, trofei, trofei”. A volte le cose non vanno come dovrebbero anche nella buona fede di tutti e gli amori non decollano se partono male. Il tempo per l’ultimo appello è già ampiamente scaduto: se Cardinale vuole invertire la tendenza, non ha nemmeno un mese. Altrimenti, per il bene di tutti, farebbe bene a cercare un’altra soluzione. In fondo, anche trovare finalmente una – vera – proprietà ambiziosa sarebbe un grande regalo di cui il popolo rossonero sarebbe riconoscente. E una elegante exit strategy per uscirne vincitore almeno economicamente.

Francesco Letizia

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