Editoriale Calcio

Chivu e la rivoluzione silenziosa

Mentre il mondo del calcio italiano continua ad interrogarsi su chi, tra Antonio Conte e Max Allegri, uscirà dal prossimo confronto diretto con i galloni di “uomo da battere” per la porzione di campionato che stiamo vivendo, non ci sono dubbi sostanziali rispetto alle considerazioni che abbracciano la scelta dell’Inter di affidare il suo percorso di restaurazione a Cristian Chivu.

Partendo dai dati di fatto inoppugnabili ed incontestabili, è evidente che l’inesperienza ai massimi livelli che caratterizza il suo background sia uno degli elementi che generano il maggiore scetticismo nei confronti del tecnico romeno.
Se a ciò si aggiungono i risultati altalenanti di questo inizio di stagione, con le due sconfitte già accumulate nel giro di sole quattro partite disputate, la sensazione di inadeguatezza sembra la conseguenza più naturale.

Chivu, conferenza stampa pre Inter-Torino

Diverse sono però le considerazioni dello stesso management che, unito all’eccellente lavoro del predecessore di Chivu, aveva contraddistinto con decisioni rischiose ed illuminate il processo di rinascita economica che ha vissuto l’Inter dopo la crisi post Covid. Ed allora viene da porsi quantomeno l’interrogativo legato alla modalità con la quale Chivu sta gestendo il ruolo che gli è stato assegnato, magari senza stravolgimenti evidenti, ma che non deve però nascondere la rivoluzione silenziosa che è stata messa in atto.
La scelta di proseguire con lo stesso sistema di gioco di chi lo aveva preceduto, per quanto suscettibile di critica, acquista senso in relazione alle certezza ed alla consapevolezza del proprio valore che il gruppo aveva inevitabilmente perso dopo lo sportivamente tragico epilogo della passata stagione.
La strada per vedere un tipo di calcio differente, non può quindi prescindere da una personalità che molti dei principali interpreti avevano lasciato per strada, ancora in convalescenza dopo gli schiaffoni ed i ribaltoni della scorsa primavera.

Allo stesso modo va valutata la decisione di centellinare l’inserimento degli investimenti perpetrati in estate. Quello che all’apparenza sembra timore della rivoluzione e del giudizio di uno spogliatoio di personalità, è in realtà una tutela messa in moto da chi ha avuto esperienza diretta con gli spalti di uno degli stadi e dei pubblici più esigenti d’Italia e con il conseguente rischio di bruciare emotivamente i calciatori che hanno caratterizzato l’ultima campagna acquisti. Emblematica la gestione che sta caratterizzando Luis Henrique. Un giocatore per il quale la proprietà e la dirigenza avevano concordato un investimento vicino ai 25 milioni di euro, e che dopo un paio di spezzoni negativi nel corso del Mondiale per Club era già stato bollato come “inadeguato” da gran parte dell’opinione pubblica.

Gettarlo in pasto allo scetticismo dilagante di questa fase iniziale della stagione avrebbe probabilmente rappresentato un picco talmente basso dal quale sarebbe stato impossibile risollevarsi. Invece in casa Inter sono convinti di essersi assicurati lo stesso calciatore che la passata stagione aveva incantato con la maglia dell’OM di De Zerbi. E chissà magari anche un punto di partenza per vedere una squadra diversa nelle caratteristiche e nell’espressione di un potenziale ad oggi semi inesplorato.
Alla stessa maniera va letta la prudenza con la quale viene salvaguardato l’inserimento di Diouf, sostanzialmente escluso dalle gerarchie di partenza di questa stagione ma tutt’altro che bocciato nelle considerazioni di un allenatore giovane, che sta cercando di operare una rivoluzione silenziosa ma costante che è convinto possa dare i suoi frutti a lungo termine.

Gianluigi Longari

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