Fin quando il calcio penserà di auto regolamentarsi, di essere sempre diverso e speciale dagli altri sport, non cambierà mai nulla.
Va bene? Sì, a patto di non chiedersi poi però perché viene abbandonato dai più giovani e scavalcato nella ripartizione degli investimenti di sponsor e fondi. Prendiamo per esempio il tema delle nazionali: nel calcio, non si può vivere senza portare via tutti i giocatori del mondo ai rispettivi club per qualificazioni varie o persino per le amichevoli.
Bisogna volare dall’altra parte del mondo? È obbligatorio farlo, senza nessuna discussione: si fermano i campionati, si ferma l’intero universo, anche per una bella amichevole a 1600 metri di altitudine. I giocatori viaggiano come delle palline in un flipper e non possono nemmeno fiatare: perché?
Perché l’opinione pubblica li massacrerebbe, facendoli passare come disertori e traditori.
Immaginatevi invece un mondo dove le pause nazionali non esistono. Dove le federazioni capiscono e accettano la realtà dei fatti, cioè che senza i club che muovono tutto il carrozzone il loro sport morirebbe, e si regolano di conseguenza.
E allora le qualificazioni si giocano durante la stagione, come impegno infrasettimanale, senza fermare le principali competizioni. I top club impegnati nelle coppe non liberano i giocatori, se non magari qualche giovane o qualche riserva, ci si arrangia di necessita virtù con chi è libero in settimana e nello stesso continente, senza viaggi OltreOceano.
Anche perché, valendo per tutti la regola, sarebbe ugualmente preservata la regolarità delle qualificazioni. Immaginatevi un’Italia simile a questa: Caprile; Palestra, Ghilardi, Okoli, Fortini; Casadei, Ricci, Rovella; Cancellieri, Camarda, Zaccagni.
Si offrirebbe la possibilità a tutti di assaggiare la maglia azzurra e di crescere, probabilmente ridando anche maggior interesse e dignità a queste partite, che la gente reputa inutili.
Bene, per chi vedesse calcio e basta (male!), questo mondo esiste già: si chiama basket. E la voglia di vestire la maglia della Nazionale nelle competizioni estive top è di conseguenza ancora più alta anche per le stelle NBA che non vengono stressate inutilmente durante l’anno e sanno quindi di dover “ripagare” una sorta di debito morale.
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Già, ma fin quando? Forse sarebbe ora, nel futuro a breve termine di uno sport destinato di questo passo a morire, di iniziare a chiederselo.
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