Sinner a processo, italiani preoccupati (Foto IG @janniksin- sportitalia.it)
Premessa doverosa: l’assenza di Sinner dalla prossima Coppa Davis è un danno oggettivo. Ma andiamo con ordine.
Lo è da un punto di vista tecnico, ovvio, ma non meno da un punto di vista sportivo. Lo è perché si giocherà in Italia, e lo è perché non è la conseguenza di un infortunio ma di una scelta, programmata, di sacrificare l’impegno per nazionali più importante del tennis mondiale a favore del proprio calendario individuale.
Della serie: gioco dove e quando decido io. Ma di fatto il tennis moderno è esattamente questo. L’itinerante sforzo di un singolo, diventato azienda privata, all’interno di un calendario ricco di impegni nel quale bisogna riuscire a contestualizzare esigenze e necessità.
Tutto ciò premesso, dalla notizia del forfait di Sinner alla prossima Davis si è innescato, intorno alla stessa e nel nostro Paese, un inesplorato senso nazionalistico.
Quella stessa Coppa ha assunto, improvvisamente, una centralità nella nostra dimensione sportiva e forse anche sociale. Tutti, da tre giorni, tengono alla Coppa Davis.
Verrebbe da chiedere, allora, quanti di coloro che oggi si sentono “offesi” o “mancati di rispetto” ricordano i nomi dei tennisti che nel 1997 portarono l’Italia a sfiorare la seconda Davis della sua storia? Altresì, quanti di loro sanno quante Fed Cup, oggi Billie Jean King (la Coppa Davis femminile, ndr) l’Italia ha vinto e messo nella propria bacheca?
Ancor più recente, quanti dei succitati ricordano chi ha giocato e come sono finite le partite delle ultime due edizioni vinte dalla squadra di Filippo Volandri? Pochi, di certo qualcuno ma decisamente meno di quelli che oggi nella decisione di Jannik Sinner vedono un’offesa nazionale senza possibilità di perdono.
La sensazione, e la verità, è che esiste una parte della nostra cultura sportiva davvero (molto) poco capace a convivere con il successo altrui. Chi vince, da noi, finisce col diventare un bersaglio, da colpire.
Per come parla, per dove risiede, per quello che decide di fare. Da qualche anno abbiamo la fortuna di poter raccontare uno dei primi cinque atleti per grandezza nella storia dello sport italiano. Un ragazzo che ha saputo portare il nostro Paese sul tetto di un mondo che avevamo sempre spiato dal basso, salendoci in silenzio, con educazione e senza strumentalizzare con comportamenti sopra le righe le prospettive che il proprio talento gli ha consegnato.
Ha pagato e spiegato il caso Clostebol che lo ha coinvolto, ciò nonostante ci sono ancora persone che lo apostrofano come “dopato” al primo calo fisico. Ci sta consegnando una rivalità da libri di storia con Carlos Alcaraz, nella quale molti italiani continuano a tifare per l’altro, semplicemente “perché vive in Spagna e non a Montecarlo”.
Jannik Sinner non deve giustificarci le proprie scelte, ma solo continuare a farci sognare con una racchetta in mano. Perché Jannik Sinner è un privilegio sportivo, non un giovane uomo a cui chiedere di rispondere alle nostre interpretazioni di vita. Viviamolo e tifiamolo, smettendo di giudicarne ogni passo.
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