Siamo reduci da una settimana in cui la quiete di un campionato in sosta per gli impegni delle Nazionali avrebbe dovuto caratterizzare le inesistenti discussioni a livello mediatico.
Magari con le sole eccezioni collegate a possibili tracce di mercato che avrebbero potuto prendere piede nei mesi a venire per poi diventare qualcosa di più concreto nell’imminente sessione di mercato di gennaio.
La classifica del resto non racconta verità assolute ed incontrovertibili, tutt’altro.
La corsa scudetto ha due nuovi padroni, ma la vicinanza di chi insegue non può certo determinare l’andamento parziale della stagione tanto è suscettibile di variazioni.
Eppure c’è un’unica squadra al comando di ogni genere di cronaca calcistica dal triplice fischio dell’ultima gara di campionato disputata: il Napoli.
In casa partenopea è letteralmente successo di tutto, con evoluzioni quotidiane che poco hanno a che fare, se non nulla, con l’ordine e la disciplina che solitamente contraddistinguono il clima di uno spogliatoio che abbia al comando Antonio Conte.
E per paradosso assoluto, il minimo comune denominatore di tutti gli stravolgimenti degli ultimi giorni, è stato proprio il tecnico della squadra Campione d’Italia in carica. Le sue dichiarazioni susseguenti alla sconfitta di Bologna hanno fatto da detonatore alle esplosioni che sono seguite, e che hanno di fatto messo in discussione il ruolo di leader maximo dell’allenatore del Napoli all’interno del suo stesso spogliatoio.
Dinamiche che sembrano conseguenza inevitabile della gestione mediatica che Conte ha deciso di utilizzare nella stagione in corso, denunciando problemi in serie che raramente lo hanno visto come protagonista con quel minimo di autocritica che avrebbe creato quell’empatia e condivisione che aveva caratterizzato il successo tricolore di un anno fa, e che oggi sembrano irrimediabilmente svanite nel nulla.
Dapprima era stato il mercato, da Conte ispirato e deciso a tavolino e supportato con sforzi economici pesanti e concreti da parte della proprietà. Un lavoro certosino dimenticato dopo la roboante sconfitta di Ehindoven, quasi come se ogni colpo portato a termine non fosse passato dal suo placet.
Sino ad arrivare all’attacco frontale alla squadra dell’ultima settimana, accusando gran parte degli stessi calciatori che avevano conquistato il tricolore nella passata stagione di “pensare al proprio orticello”, dopo avere reiterato gli strali già manifestati a inizio stagione nei confronti dei nuovi arrivati.
Come inevitabile pioggia sul bagnato è arrivata la sfortunata diagnosi dell’infortunio occorso a Frank Anguissa, con tempistiche talmente susseguenti alle parole dell’agente di Lobotka che mettevano in discussione le metodologie di allenamento di Conte da non poter essere ignorate.
La diagnosi è stata del resto eloquente: la stessa lesione di alto grado del bicipite femorale che aveva colpito Kevin De Bruyne e che concluderà di fatto in anticipo il 2025 di entrambi i calciatori del Napoli. Un dato che preoccupa, ma che assume contorni ancora più sinistri se si valutano le statistiche stagionali degli infortuni occorsi ai partenopei dall’inizio del ritiro estivo.
Sono stati ben 16 i giocatori del Napoli ad avere accusato problemi fisici da luglio in poi, e quasi tutti di natura muscolare. Al punto che in alcune circostanze si sono verificate addirittura delle ricadute a stretto giro di posta dal primo problema. Un dato che mette inevitabilmente in discussione anche la metodologia di lavoro fisico svolta dall’estate in poi e che fa trovare riscontro alle critiche che sono state mosse da alcuni dei calciatori partenopei appena hanno avuto l’occasione di parlare con la stampa o con il proprio selezionatore lontano da Castel Volturno.
Come se per ironia della sorte, il motto coniato a inizio stagione: “Amma faticà cchiù assaje” si sia rivoltato come un boomerang verso chi lo ha ideato. E che ha scelto di prendersi qualche giorno di vacanza proprio adesso.
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