Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000 in Italia è stato un fiorire di Autorità Indipendenti.
I puristi alla Montesquieu storcevano il naso, visto che AGCM (1990) e AGCOM (1997) regolavano situazioni di fondamentale importanza per lo Stato senza che vi fosse una forte legittimazione democratica. Era altrettanto vero però che presentavano dei vantaggi: libere da farraginose lentezze della macchina pubblica, potevano operare con rapidità, aggiungendo un livello di sapere tecnico impossibile da replicare in aula parlamentare.
La nuova “Commissione indipendente per la verifica dell’equilibrio economico e finanziario delle società sportive professionistiche” nasce sulla falsariga delle suddette autorità, ma presenta dubbi proprio sui punti forti prima citati.
Snellezza? Ai suoi vertici c’è una componente governativa obbligatoria, costituita dal Presidente dell’Inps e dal Presidente dell’Agenzia delle Entrate. Poi ci sono un Presidente e altri quattro componenti, due dei quali individuati nell’ambito di una rosa di cinque nominativi proposti dalle Federazioni sportive nazionali interessate, d’intesa con le Leghe professionistiche di riferimento. La nomina del presidente e dei componenti della Commissione è previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari che lo esprime a maggioranza dei due terzi. Passi per la forte incidenza politica, ma la burocratizzazione prevista per la nomina dei vertici appare evidente.
Veniamo alla competenza. Secondo la normativa in essere, il costo del lavoro allargato non deve superare l’80% dei ricavi. Fanno parte del costo del lavoro allargato i salari e stipendi lordi della rosa, oneri previdenziali e contributivi, premi e bonus, compensi per agenti/procuratori, ammortamenti dei cartellini. Non rientrano nel costo del lavoro allaragato le spese per il personale non tesserato, i costi operativi generali (affitti, manutenzione impianti, spese per l’energia), investimenti in infrastrutture, interessi passivi su prestiti, mutui e altre forme di debito, spese per il settore giovanile.
Passando al setaccio le squadre di Serie A con questi parametri, si arriva al paradosso: Napoli e Pisa, che godono entrambe di ottima salute, dovranno operare a costo zero nel mercato. Il che significa che se gli azzurri o i toscani volessero prendere un giocatore che costa 5 milioni di ammortamento e 3 di ingaggio, dovranno prima vendere un giocatore che libera esattamente 8 milioni a bilancio. Non si può “fare debito” nemmeno di un euro.
Avete presente il giochino Instagram vs Realtà? Ecco, mentre l’Instagram-Commissione, magari con qualche bella foto di promettenti calciatori dal settore giovanile ci dice che è tutto splendente, la realtà di molte squadre in Serie A racconta di debiti strutturali (banche, bond), minusvalenze accumulate, dipendenza da paracadute FIGC o diritti TV calanti.
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