La mezza verità di Allegri, l’onesta scelta di Spalletti, la decisione di Inzaghi su Dzeko-Lukaku, il rimpianto di Skriniar, l’obbligo della Roma. E il patteggiamento Juve

Allegri: “Se avessi voluto vincere sarei andato in altri due posti". Partiamo da qui e lo facciamo con una domanda: un allenatore è più “coraggioso” se sceglie di andare in un club che ha appena perso lo scudetto e può investire sul mercato o in uno che lo ha appena vinto e non può fare mercato?

Ve lo dico io: la seconda. Ecco perché il discorso “allegriano” non regge. Il tecnico bianconero effettivamente aveva proposte da Madrid (Real) e Milano (Inter), ha scelto di tornare a Torino e lo ha fatto per questioni di cuore ma anche perché sapeva (o sperava) di avere vita più facile. Prendere il posto dell’esordiente Pirlo è più semplice che prendere il posto di Conte, il discorso è talmente banale che lo chiudiamo qui.

Anzi no, lo continuiamo in chiave Napoli. L’altro giorno De Laurentiis ha svelato il segreto di Pulcinella, ieri Spalletti ha confermato: “Non rimarrò al Napoli, me ne vado. E non c’è alcun modo per farmi cambiare idea. Ho detto al club che ho bisogno di un anno di pausa. Non lavorerò in nessun altro club”. Ebbene, la decisione non è solo legittima, è corretta. In un mondo in cui chi vince prova subito a confermarsi anche a costo di scottarsi, le persone illuminate sanno mantenere la doverosa lucidità. Spalletti scende da una meravigliosa barca – quella che ha decisamente contribuito a trasformare in un transatlantico – e lo fa perché sa che ripartire dopo un trionfo sarebbe stato un mezzo suicidio. Non è una scelta vigliacca, semmai intelligente, soprattutto perché “restare” avrebbe significato dover rispondere a un patron che due giorni dopo la vittoria dello scudetto ha chiesto il trionfo in Champions, pensa te. Ecco, a tal proposito facciamo un grosso in bocca al lupo al futuro tecnico dei campioni d’Italia, perché avrà un compito difficilissimo e dovrà reggere un costante e inesorabile confronto con la stagione dei miracoli.

Il medesimo problema non tocca il Santo di Setubal, già Josè Mourinho, impegnato domani in una succulenta finale europea, l’ennesima della sua carriera. È impossibile conoscere il risultato della partita, ma già ora è possibile e doveroso dire alcune cose: la Roma intesa come società deve fare di tutto per trattenere il suo allenatore e questo al netto di qualche capriccio del Santo in questione. Il motivo è semplice: Mourinho ha portato nella capitale entusiasmo, attaccamento, devozione, fede “a prescindere”. Privarsi di questa cosa potrebbe essere più devastante di un’eventualissima finale di Europa League finita male. E il motivo è semplice: vincere è importante, sentirsi parte di una famiglia lo è anche di più.

Ecco, “famiglia”. A un certo punto del secondo tempo di Inter-Atalanta, San Siro si è illuminato. Un tempo si usavano gli accendini, ora i cellulari. L’atmosfera è parsa meravigliosa, incredibile, emozionante. Sembrava di essere al cenone di Natale di una famiglia allargata e attaccatissima, quella nerazzurra. Nel pubblico si percepiva fratellanza, molti cantavano, e in mezzo agli oltre 70mila del Meazza c’è pure lui, Milan Skriniar, chiaramente non a suo agio. E allora sì, ti viene da pensare alla sua scelta – legittima, per carità -, quella di andare al Psg. Una decisione che lo renderà più ricco di quel che è già ora, ma che gli ha tolto qualcosa che ha un valore inestimabile: l’amore allo stato puro. E una finale che vale molto più di una valanga di petroldollari.

Già, la finale di Istanbul. Ci si interroga parecchio sulla scelta di Inzaghi. “Chi giocherà in attacco? Dzeko o Lukaku?”. Il qui presente ha tre cose da dire. 1) Che tu preferisca l’uno o l’altro, la certezza è che Inzaghi si è guadagnato sul campo il diritto di scegliere senza sentirsi dire “uè pirlaaaa”. L’Inter in finale ce l’ha portata lui e lo ha fatto andando ogni genre di critica e contro un’opinione pubblica mai così fetente. 2) Se proprio devo immaginare un andamento “ideale” della partita è legato alla “resistenza” che nel corso dei minuti si potrebbe trasformare in “controffensiva”: se i nerazzurri saranno in grado di reggere l’urto, potranno farlo anche grazie all’intelligenza tattica di Dzeko. A quel punto avranno bisogno di un’arma segreta da gettare sul prato. Quella, l’arma segreta, ha le fattezze di Romelu il belga, attualmente in forma straripante (verticalizzare, ripartire, attaccare… gli riesce tutto). Ribadiamo: è solo un’ipotesi e, soprattutto, Inzaghi sa quel che deve fare molto più di chi gli ha fatto il funerale prima del tempo. 3) Se il problema dell’Inter non è più “chi metto? Devo scegliere tra una pippa e l’altra” ma “chi metto? Devo scegliere tra due campioni”, allora significa che chi ha costruito questo gruppo ha fatto un gran lavoro, soprattutto se si pensa ai quattrini a disposizione (meno di zero).

Un’ultimissima cosa sul Milan, ufficialmente qualificato alla prossima Champions. Che voto si può dare a una squadra capace di raggiungere la semifinale di Champions? Certamente sopra la sufficienza, altro che balle. Poi bisogna guardare al gioco, non sempre bello come un anno fa. E al mercato, sicuramente deludente. Di chi è la colpa? Di Pioli? No. Di Maldini e Massara? Relativamente. Dell’impostazione del club? Decisamente sì. La dirigenza rossonera deve avere mano libera per decidere chi portare a casa: i giovani sono la Stella Polare, ma a questo gruppo serve esperienza ad alto livello, quella che ti permette di reggere la tensione quando le sfide si fanno più dure.

Il patteggiamento della Juve? La scelta saggia di una dirigenza che ha capito la situazione: meglio abbozzare e ripartire piuttosto che andare allo scontro con pochi appigli per uscirne senza acciacchi.

Stop, chiudiamo con una cosa serissima: sciur Ferrero, molla il colpo: non ti si chiede di uscire dalla Samp a testa alta (non puoi farlo), ma di uscire dalla Samp e basta

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