Nel consueto editoriale del mercoledì per Sportitalia.com, l’esperto di mercato Alfredo Pedullà fa il punto della situazione in merito ad alcune delle panchine più importanti della nostra serie A. Di seguito la versione integrale
La vendetta è un piatto che va servito freddo. Da qui la sintesi più appropriata: Paolo il caldo diventa Paolo il freddo, la vendetta è servita. La vendetta di chi? Beh, che Cardinale non lo amasse non era certo una rivelazione clamorosa. Basterebbe pensare a cosa è accaduto poco più di un anno fa: il Milan aveva vinto lo Scudetto, un clamoroso sorpasso all’Inter, eppure Maldini fu convocato in sede a poche ore dalla scadenza del suo contatto. Uscì da Casa Milan più o meno a mezzanotte, dopo aver firmato, quasi come se si trattasse di una concessione dell’ultimo minuto. Che Cardinale e Maldini parlassero due lingue diverse, lo si era capito da un pezzo. Il mercato sbagliato, la fallimentare sessione estiva? Di sicuro è uno dei motivi, ma non l’unico. Quando parli una lingua diversa, il mercato conta ma contano soprattutto le idee agli antipodi, la filosofia opposta, un modo di pensare che mai collimerà. Qui non si tratta di chiamarsi Paolo Maldini e di essere la leggenda vivente del club. Qui si tratta di avere autonomia, libertà almeno al 50 per cento, l’autorevolezza per non dover chiedere sempre l’autorizzazione. Non il potere di firma, basterebbe il potere di decidere almeno un po’. Qui era tutto cambiato e forse – con il senno del poi – sarebbe stato meglio non firmare il rinnovo a giugno 2022, tiravano già spifferi mica da ridere. E comunque una svolta così, nel bel mezzo del mercato, sicuramente non fa il bene del Milan. Compreso il comunicato, freddissimo, di chi forse pensava di salutare un dipendente qualsiasi. E invece qui parliamo di un’Icona.
Non si può puntare il revolver alla testa di una proprietà e pretendere che faccia una cosa evidenziata dai fatti. Traduzione: la Juve è libera di confermare Max Allegri, noi lasciamo ancora aperto un piccolo spiraglio. L’importante è che la scelta non avvenga per un contratto lungo, ottimo, ricco e abbondante, non sarebbe da Juve. Abbiamo già spiegato che potrebbero essere superiori i rischi di un disastro economico tenendo Allegri piuttosto che esonerandolo. Nel senso che i danni potrebbero essere superiori ai 35 milioni (abbondanti) lordi che gli devono per altre due stagioni. Ma la Juve è libera, liberissima, come se non avesse memorizzato i gravi errori, le omissioni e le amnesie (eufemismo) di due anni di lavoro. Attenzione: parliamo di 24 mesi non di 5 o 6, dovrebbero saperlo gli stessi Calvo, Scanavino e compagnia. I rischi al Max della Juve sono questi, ma non soltanto questi. Ce ne sono altri che non possono passare in cavalleria, facciamo una sintesi.
Vlahovic non se la sente di fare il centravanti con le spalle alla porta e vittima di un sistema tattico antico della serie “tutti indietro e ripartiamo”. Nessuno può dargli torto, l’anticalcio di Allegri l’ha ucciso. Eppure qualcuno fa passare Vlahovic come un brocco piuttosto che come parte estremamente lesa. Le dichiarazioni di Chiesa dopo Udinese-Juve non sono passate inosservate: non sembrava un ragazzo felice, con una vista ottimistica sul futuro. Anche lui è frustrato, vittima di una collocazione tattica confusionaria, di un gioco (?) che non predilige nè premia le sue ben note caratteristiche. Sul pulmino degli scontenti aggiungiamo Kostic, non sottovalutiamo Kean e già siamo ben oltre la soglia dell’allarme. Quindi, cara Juve, sei libera ma pensaci al Max. Perché se poi ti pentissi, sarebbe peggio e diventeresti indifendibile.
Sul futuro di Mourinho è stata fatta una confusione pazzesca. E c’è stato chi, sparando titolo in prima pagina, ha scritto tutto e il contrario di tutto. Da “Mou resta” a “Mou va via”, quest’ultima certezza di pochissimi giorni fa. Chi difende quella scelta, frequentando la stessa parrocchia, è lo stesso che fa il tifoso prima che il giornalista, mette il pannolone per una striscione pro Mou esposto in Tribuna Tevere, mancherebbe solo un “ale oh oh” prima di sdoganare i pezzi quotidiani (possibilmente con qualche notizia). Onestamente ci fa sorridere il seguente concetto: cosa volete che sia il fatto di cambiare idea sul futuro di Mourinho nel giro di pochi giorni? Il mercato è questo, aggiunge il nostro amico con il pannolone, le situazioni si ribaltano 24 o 48 ore dopo… Certo, tutti sbagliamo, ma l’importante è ammetterlo. E se il tuo capo ha fatto casino nel giro di poche ore, dicendo tutto e il contrario di tutto, sarebbe il caso di metterci la faccia e di non comportarsi da ruffiano. In realtà, il legame tra la piazza giallorossa e Mourinho è qualcosa di unico, malgrado due campionati senza qualificazione in Champions, roba che resta e passa in cavalleria dinanzi all’amore cieco. Mou vuole una squadra più forte e ha ragione. Ma non può disconoscere gli investimenti fatti, invece è come se i Friedkin avessero speso una manciata di bruscolini. Poi se Mourinho rincorre l’arbitro in un garage e lo insulta, gesto da condannare ben oltre qualsiasi fede, il problema è rappresentato dagli investimenti non fatti. Assurdo. Diciamo la verità: la Roma è arrivata settima sul campo, sesta per la penalizzazione della Juve, con un rendimento insufficiente. Se avesse vinto l’Europa League, avrebbe reso indimenticabile una stagione che tale non può essere. Chi aveva celebrato il “funerale” di Mourinho, si informi meglio, magari scriva un altro libro per chiedere scusa, ripristinando un minimo di umiltà che almeno cancellerebbe una parte dell’infondatezza delle informazioni date. Mou resta perché ha un contratto, perché non ci sono offerte come lui ha onestamente ammesso, perché il terzo anno in giallorosso dovrà essere quello di una minima svolta. Ben oltre l’amore e l’affetto che gli tributerebbero persino se arrivasse ancora sesto o settimo. Ma sono cose che, giustamente, ai Friedkin non interessano.