Le solite domande: il Milan non ci mette la faccia, Pioli è fuori, club senza visione

E quindi 10 giorni fa quando chiesi a Furlani se l’eliminatoria contro la Roma sarebbe stata decisiva per il futuro di Pioli, ricevendo come risposta: “Solite domande…”, non feci la solita domanda ma semplicemente l’unica che contava.

Finisce virtualmente di 18 aprile la storia di Pioli con il Milan, finisce ingloriosamente per i 180 minuti senza nerbo della squadra, finisce con una lezione della Roma dentro ma anche fuori dal campo, con la società giallorossa che alla mattina ha annunciato il rinnovo di De Rossi non sull’onda emozionale dei Quarti di Finale, ma proprio per compiere la propria scelta di campo a prescindere dall’esito finale (e certo anche regalandosi un piccolo boost prima della partita).

E di contro all’Olimpico non c’è stato un dirigente milanista che fosse uno che sia venuto a metterci la faccia ai microfoni. Eppure Furlani, Ibrahimovic e Moncada erano presenti.
Mancanza molto, molto grave. Per dire, uno come Andrea Agnelli che pure ha tantissime colpe, però quando la Juventus veniva eliminata dalla Champions (e non è successo poche volte e non è mai stato indolore) è sempre venuto a metterci la faccia davanti ai microfoni. Lo faceva lui come lo fa anche Marotta, come lo faceva Maldini. All’Olimpico invece nessuno della dirigenza Milan ci ha messo la faccia. E questo non può andare bene per una società dal lignaggio come quella rossonera.

E invece c’è una società che solo mercoledì scorso era piuttosto convinta di tenersi Pioli, e adesso ha deciso che basta. Mica perché ha trovato un candidato migliore, ma perché il risultato è stato negativo e la piazza non ne può più. E certo l’allenatore è giustamente il primo responsabile, ma è pur sempre lo stesso tuttora secondo con margine di vantaggio in campionato, un risultato ingiustamente non sufficientemente riconosciuto a Pioli.

Per carità il mister ha pesanti colpe nelle partite che contano. Ma è anche vero che in campionato ha raggiunto un buonissimo risultato.

E allora forse il problema principale è un altro: è che si ritengono di un livello superiore giocatori che sono buoni ma non trascendentali. Del resto in un mercato da 120 milioni composto da gente costata 20 milioni, se sei bravo puoi pescare un’occasione per un valore indiscutibile come successo con Pulisic, può girarti a favore una scommessa come Reijnders, ma poi probabilmente hai preso dei buoni giocatori ma non decisivi.

Di cosa si illude allora la società Milan? Il problema è forse raccontarsi una realtà virtuale, come Leao grande campione, che però fa 3-gol-3 nel girone d’andata; Theo miglior terzino sinistro al mondo, che però difensivamente è una roulette russa; Maignan miglior portiere al mondo, che però oltre ai miracoli fa anche periodici errori; Tomori tra i migliori difensori al mondo, che però sistematicamente non salva nulla da solo; etc.

Credere di essere quello che non è, ecco il peccato originale del Milan, dentro e fuori dal campo. Ha vinto uno scudetto con umiltà, abnegazione e consapevolezza. E ha smarrito tutte e tre, credendo di essere diventato di nuovo il grande Milan di Berlusconi, ma senza averne minimamente gli interpreti.

E in questa mancanza di visione del club, giganteggia la dissennata politica decisionale sul prossimo allenatore. Non c’era un’intenzione chiara. E adesso che c’è a causa dell’eliminazione, non c’è una idea chiara: Fonseca e Lopetegui prima, si aggiungono adesso secondo la Gazzetta le idee Galtier e Gallardo (idea oggettivamente intrigantissima), e Tuttosport sostiene la tesi Van Bommel con l’endorsement di Ibrahimovic. Per non parlare dei contatti invernali perlustrativi con Conte e Thiago Motta. Non pensate che siano solo ricostruzioni giornalistiche, la realtà supera la fantasia.

E con queste premesse, se Pioli ha grandi responsabilità, quante ne ha invece chi decide?

Stavolta però non c’è un Maldini da mandare via…

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