Nei gironi scorsi Novak Djokovic aveva eletto Jannik Sinner come suo vero erede. Una sorta di passaggio di consegne che però si è tramutato in una vergogna.
Per quasi due decenni Novak Djokovic ha incarnato l’essenza del dominio tennistico. Ventiquattro titoli del Grande Slam, sei ATP Finals, 40 tornei Masters 1000: numeri che raccontano più di un’epopea sportiva, la supremazia di un uomo che ha costruito la propria leggenda sulle macerie dei rivali. In campo, il serbo ha fatto scuola: la sua tenuta mentale, la precisione dei colpi da fondo, la capacità di ribaltare partite impossibili hanno lasciato il segno nella storia del tennis. Per anni ha umiliato avversari di ogni generazione – da Federer a Nadal, da Murray a Medvedev – facendo sembrare inevitabile la sua vittoria, come un meccanismo perfetto e inesorabile.

Djokovic ha vinto finali epiche in cui la resistenza fisica e mentale si sono fuse in un’armonia quasi disumana. L’Australian Open del 2016, il Roland Garros del 2021, la maratona di Wimbledon 2019 contro Roger Federer: ognuna di queste vittorie ha rappresentato un capitolo di dominio assoluto. Non era solo la tecnica a differenziarlo, ma la capacità di schiacciare l’avversario con la continuità. “Mi rivedo in lui”, aveva detto a Riad, parlando di Jannik Sinner, che lo avrebbe affrontato di lì a poco. “È magro come me, colpisce forte, fa tutto benissimo sul piano strategico”. Parole profetiche, dette da chi ha costruito la propria leggenda sull’arte di annientare gli altri. Ma forse nemmeno Djokovic, abituato a ridurre gli avversari in polvere, si aspettava di vivere dall’altra parte della barricata quella stessa sensazione di impotenza.
Sinner-Djokovic, l’allievo che umilia il maestro nel deserto di Riad
Quando Jannik Sinner è sceso in campo al Six Kings Slam di Riad, non sembrava affatto un’esibizione. Lo sguardo concentrato, il linguaggio del corpo, la fame agonistica di chi sa che ogni punto, anche in un torneo senza punti ATP, può significare qualcosa. E infatti è stata una lezione. Un 6-4, 6-2 senza appello, due set dominati con precisione chirurgica, in cui il “discepolo” di Sesto Pusteria ha letteralmente travolto il suo “maestro”. La partita è durata poco più di un’ora e mezza, ma il tempo è bastato a Sinner per ribaltare i ruoli: l’uomo che per anni ha umiliato generazioni di tennisti ha stavolta subito la stessa sorte. Djokovic, spaesato e visibilmente frustrato, a un certo punto si è rivolto ironicamente allo staff dell’italiano: “Ma lo sa che è solo un’esibizione?”, frase destinata a entrare nella memoria di questo Six Kings Slam come simbolo del cambio di epoca.

Sinner, concentrato e implacabile, ha tenuto l’83% di prime in campo e messo a segno 10 ace. Il doppio break nel secondo set ha spento ogni residua speranza del serbo, che non è riuscito a trovare contromisure né sulla risposta né sulla diagonale di rovescio. Con questo successo, Jannik ha battuto Djokovic per la sesta volta in carriera, la quinta consecutiva dopo Roland Garros e Wimbledon. Nonostante l’atmosfera glamour e il montepremi da 6 milioni di dollari per il vincitore, la semifinale di Riad ha avuto il sapore di un passaggio di consegne. Il pubblico ha assistito a un match che ha superato il concetto stesso di esibizione: è stato un atto simbolico, quasi una resa del re davanti al suo successore. Alla fine, mentre Djokovic scherzava amaramente con il pubblico (“Mi ha preso a calci nel sedere”), Sinner si limitava a sorridere: rispettoso, ma consapevole di aver fatto la storia. La finale contro Carlos Alcaraz è stata di tutt’altra caratura, lo abbiamo visto, ma una cosa ormai è chiara: nel deserto di Riad, Jannik Sinner ha raccolto l’eredità di Djoker.






