Milan, sognando PIF: da Gyokeres a Thuram, ecco cosa servirebbe

“Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni”: così Vincent van Gogh spiegava più di un secolo e mezzo fa la genesi dei suoi capolavori. I tifosi del Milan, abituati a un altro olandese dalla stessa meravigliosa genialità, non possono che condividere e rielaborare la citazione applicandola al Milan che verrà. Sono ore calde, bollenti, sul fronte del tam-tam mediatico che spinge il vento PIF dall’Arabia Saudita verso Casa Milan: registriamo le indiscrezioni al pari delle smentite e aspettiamo. Se e quando emergerà qualcosa di più croccante, ve lo faremo sapere certamente, con la delicatezza che nel bene e nel male bisogna sempre portare quando si parla di cose importanti: cose che fanno sognare e che cambiano la vita di milioni di Milanisti.
Certo quei famosi dipinti è il momento di iniziare a sognarli: dopo due mercati da circa 50 milioni l’uno, ora Cardinale deve alzare il tiro a prescindere. Lo ha pressoché confermato, in una delle sue ultime interviste, lasciandosi sfuggire anche un “50/100”, che a quel punto potremmo riassumere in un 75 (più cessioni “minime” di secondo piano, per raggiungere appunto la tripla cifra) che già starebbe bene a tutti. E se arrivasse PIF, pure qualcosa in più. Certo non aspettatevi da un socio di minoranza le spese pazze di Newcastle e club della Saudi League: ma il Milan non deve puntare a questo, né ora, né mai. Deve invece puntare ad aumentare i ricavi, esattamente come disegnato da Cardinale: ricavi che crescono ovviamente anche con i risultati sportivi. E così si chiude il cerchio degli investimenti di mercato.

PIF, l’allenatore è il primo nodo

E’ chiaro che il primo nodo da sciogliere è quello legato all’allenatore: se “un” Conte deve essere il target a prescindere, nel Milan arabo con PIF diventa persino un obiettivo minimo da cui partire a ragionare. Secondo passaggio, i rinnovi: perchè forse il vero tesoro che un socio arabo porterebbe non è l’acquisto di Haaland o Mbappé, ma la capacità di poter resistere alle offerte altrui. E così, prolungamenti per Maignan e Theo obbligati. Poi, solo terzo punto, gli innesti: la punta è quanto di più importante serva a questa squadra e rispetto ai già citati Zirkzee e Sesko, alzare il tiro vorrebbe dire ambire a qualcuno di già “formato” e pronto a impattare.
Ad esempio Viktor Gyokeres, forse il vero gioiello del mercato internazionale nerl ruolo: le inglesi si muoveranno, ma magari non le big di primissimo piano. Ecco perché il blasone, a parità di offerta (dai 50 in su) potrebbe fare la differenza. Un “need” a prescindere da modulo e allenatore è anche il laterale destro: certo cambia non poco cercare un esterno da linea a 5 di centrocampo o un terzino di una difesa a 4, ma in entrambi i casi, che Calabria non possa essere il titolare di un Milan ambizioso è evidente. Il bosniaco del Salisburgo Amar Dedic per esempio, è un nome sicuramente interessante, con le stimmate del predestinato.

Manca ancora un Kessie…

Infine, il centrocampo, dove il buco difensivo lasciato da Kessié non è mai stato riempito: dal mastodontico Manu Koné del Borussia Moenchengladbach (che piaceva già al Milan ai tempi del Tolosa) all’altro Thuram, Kephren, del Nizza, la scelta non manca. L’acquisto più importante di tutti però è la nuova versione di quello dello storico presidente del Catania, Angelo Massimino: all’epoca era “L’amalgama”, oggi è la serenità. La serenità di poter programmare una squadra che ambisca a vincere, senza mezzi termini. Di farlo senza la spada di Damocle delle “cessioni obbligate”. La serenità di pensare che lo Stadio di San Donato, il vero top player, sia l’utimo asso da calare per tornare in vetta al Mondo entro il 2028 e non il primo passo per avviare un progetto vincente.
Perché l’attuale Milan, il Milan dei Leao e Theo, Maignan e Tomori, è sicuramente già una buona base e lasciarsela morire in mano sarebbe imperdonabile.

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