Juve, stop&go pericolosi: nessun CR7 ma niente alibi

Pregasi togliere Lukaku, McTominay e Buongiorno al Napoli; Acerbi (o Bastoni), Çalhanoglu e Thuram (o Lautaro) all’Inter. Dunque, sovrapporre alle assenze che ha dovuto gestire la Juve nell’ultimo periodo e ricalibrare le critiche sul mancato rendimento della squadra di Thiago Motta. L’infortunio di Bremer non è l’unica spiegazione ai tanti gol subiti nel mese di ottobre in controtendenza alla prima parte della stagione, proprio come le assenze per infortunio di Douglas Luiz, Nico Gonzalez e Koopmeiners (fresco di ritorno, ma con una fasciatura addosso) non possono giustificare tutti i cali di tensione e i passaggi a vuoto, ma certo è che – insieme all’assenza di una vera alternativa a Vlahovic, causa infortunio di Milik – le soluzioni ridotte hanno tolto abbastanza per rallentare gli automatismi necessari per interpretare al meglio la nuova proposta di gioco.
Dalla Juve però sono arrivati segnali forti, che autenticano l’originalità del ciclo appena cominciato: la schiettezza di Giuntoli nel chiarire che la priorità di mercato a gennaio sarà il difensore e la tendenza a non rifugiarsi negli alibi di Motta, che ultimamente si è preso più critiche di quelle necessarie, sono un valore prezioso. Paragonare Thiago Motta all’ultimo Allegri è un esercizio errato: non perché si debba dare al nuovo allenatore del credito superiore a quello che merita, quanto perché i due contesti non hanno punti in comune. Se proprio si vuole misurare l’avvio di Thiago Motta, bisogna recuperare i dati della stagione di Sarri e quella del primo anno dell’Allegri bis: perché in entrambi i casi ci si concentrò (come adesso) su un cambio di filosofia. Com’è giusto ricordare – per bilanciare i giudizi – che Sarri e Allegri non ebbero un granché dal mercato.
Nella stagione 2019-2020, con Sarri e con Cristiano Ronaldo in rosa, la Juve dopo undici turni aveva 29 punti: frutto di nove vittorie e due pareggi. Nella stagione 2021-22, senza CR7 ma con la voglia di tornare a vincere senza badare all’estetica del gioco, la prima Juve dell’Allegri bis dopo undici match di campionato aveva solo 15 punti: con quattro successi, tre pareggi e quattro sconfitte. Dopo il successo di Udine, la Juve oggi di punti ne ha 21 (cinque vittorie e sei pareggi) e di rammarico quanto ne basta, ricordandosi – di fronte all’ultima Juve che conquistò lo scudetto – che le basi per vincere il titolo reggono sui punti contro le squadre medio-piccole. Tra Empoli, Cagliari e Parma i bianconeri hanno perso per strada 6 punti che non ritroveranno facilmente: non solo perché la nuova Juve ha tanti ottimi giocatori ma nessun CR7.
La Juve di oggi ha valore che può fare la differenza: è giovane ma sembra diligente. Che non vuol dire non commettere errori – tutt’altro: la squadra di Motta, per adesso, di errori ne commette pure troppi – ma riconoscerli sempre con consapevolezza e provare a correggerli. Cambiaso, tra i simboli della Juve di quest’anno, era stato molto netto nel riconoscere la “pigrizia” che aveva sporcato la gara contro il Parma: con l’Udinese, successo per 2-0 a parte, è stata la prova di sacrificio della squadra a rendere più bella la squadra. Che, per rimanere fedele all’idea del suo allenatore, può fare il bello e il cattivo tempo solo con con la riaggressione. Il click, al di là degli interpreti, si genera attorno a questo principio: ecco perché questa Juve può essere tutto tranne che pigra. E non può certo permettersi gli stop&go dell’ultimo periodo, infortuni a parte.
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