Lo aveva detto con fermezza fin da subito: non ho fatto nulla di sbagliato. E col tempo, Jannik Sinner ha dimostrato di avere ragione.
L’affaire Clostebol, che ha tenuto il mondo del tennis e dell’opinione pubblica italiana col fiato sospeso, si è chiuso con un accordo: tre mesi di sospensione concordati tra la sua difesa, l’ITIA e la stessa WADA. Una squalifica simbolica, che è scaduta proprio ieri e gli consentirà di rientrare ufficialmente in campo agli Internazionali d’Italia. La vicenda ha avuto un forte impatto mediatico. Sinner è stato sottoposto a una pressione enorme, tra chi lo ha subito difeso e chi, al contrario, ha sollevato dubbi sulla sua buona fede. Tra le voci critiche, quella di Federica Pellegrini si è fatta sentire in modo deciso. La campionessa di nuoto ha pubblicamente contestato la leggerezza della pena, mettendo in discussione i criteri dell’agenzia antidoping e sollevando il dibattito sull’equità dei giudizi sportivi.

Ma Sinner ha sempre mantenuto il controllo. La sua squadra legale ha presentato fin dall’inizio una ricostruzione credibile e documentata: la positività al Clostebol è stata provocata da una contaminazione avvenuta durante un trattamento del fisioterapista Naldi, che aveva utilizzato uno spray cicatrizzante (Trofodermin) contenente lo stesso principio attivo. Un errore umano, documentato da testimoni, referti e tempistiche precise. La WADA stessa ha riconosciuto la trasparenza del tennista altoatesino, specificando che il suo caso “era lontano anni luce dal doping”.
Stangata per Ouhdadi: stop di tre anni
A rendere ancora più chiara la posizione di Jannik Sinner sono i confronti con altri due casi di positività al Clostebol, emersi nelle stesse settimane ma con esiti profondamente differenti. Il primo è quello del mezzofondista paralimpico Yassine Ouhdadi, oro nei 5000 metri sia a Tokyo 2021 che a Parigi 2024. Il 30enne spagnolo è stato squalificato per tre anni dal Comitato Paralimpico Internazionale, in seguito a un test positivo effettuato il 28 luglio 2024. Ouhdadi, come Sinner, ha sostenuto di non aver assunto consapevolmente la sostanza. Ha ipotizzato una contaminazione da un massaggio o da contatti accidentali con chi usava il farmaco. Ma, a differenza del campione italiano, non è riuscito a fornire alcuna prova concreta a sostegno della sua tesi. Ha accettato la squalifica, ma ha anche perso la medaglia olimpica di Parigi e il sostegno pubblico.

Ancora più severo l’esito per la pattinatrice spagnola Laura Barquero, che ha ricevuto una squalifica di sei anni per la recidiva nella positività al Clostebol. Anche lei aveva inizialmente parlato di contaminazione involontaria, ma non è mai riuscita a spiegare in modo verificabile l’origine della sostanza nel suo organismo, né nel primo caso né nel secondo. I confronti con Sinner sono inevitabili, ma le differenze sostanziali sono innegabili. Il tennista altoatesino ha documentato in modo puntuale quanto accaduto e ha collaborato fin da subito con le autorità antidoping.