“È la sera dei miracoli fai attenzione qualcuno nei vicoli di Roma con la bocca fa a pezzi una canzone”. E’ stata la notte poetica di chi, quelle poesie, le ha sognate per un po’. Nella cornice ideale, con l’Olimpico che si è trasformato nel Dall’Ara. E poi Roberto Baggio, simbolo di un calcio filosofico che non esiste più. Bologna, però, al passato non vuole rinunciarci. Perché sono le antiche radici che animano le fondamenta di un qualcosa di nuovo, perché soltanto chi ha un determinato diktat può compiere un’impresa straordinaria.
Gente di cuore, questione di devozione
Bologna è gente di cuore, il Bologna è una questione di devozione. Perché l’Olimpico è stata solo una piccola parte dell’aria romantica che sotto i portici si è respirata ieri. Bambini mano nella mano con i propri nonni, accompagnati da quella sciarpa rossoblù che ricorda la squadra che giocava in Paradiso. Quasi un passaggio di consegne tra quello che è stato e quello che è nato ieri, perché Vincenzo Italiano, 51 anni dopo, ha riportato quella squadra in Paradiso, omaggiando nel miglior modo possibile una storia degna di essere tramandata di generazione in generazione.
La vittoria della Coppa Italia non è frutto della casualità, ma sintomo di un programmazione ben precisa. In Italia, molte squadre, dovrebbero capirlo: dietro la scrivania dev’esserci un uomo che il calcio lo capisce e lo respira, Giovanni Sartori ha vinto l’ennesima sfida della sua carriera. Così come Vincenzo Italiano che le categoria le ha vissute tutte, con orgoglio e sacrificio, sporcandosi sempre le mani a prescindere dal prestigio del palco. E ieri il meritato premio perché non può piovere per sempre, e le finali perse a Firenze sono state soltanto un passo necessario per qualcosa di ancora più grande. La dedica a Joe Barone è stata giusta perché anche all’ombra della Fiesole ha tentato l’impresa, impresa che è riuscita ieri.
Italiano ha avuto un grande merito: in silenzio, con la cultura del lavoro, poche parole inutili e una serie di fatti che hanno fatto diventare questo Bologna una creatura quasi perfetta. Con difetti che possono essere limati, certo, ma con un’identità chiara e ben riconoscibile. Un’identità che accomuna quel bambino che per la prima volta ha visto i felsinei sollevare al cielo un trofeo, insieme a quel nonno che con le lacrime agli occhi è tornato indietro di 51 anni. Perché il tempo a volte ritorna, e dopo la pioggia arriva l’arcobaleno. Quell’arcobaleno tanto voluto da Joey Saputo, artefice di un progetto vincente, riuscito. Dopo il temporale arrivano le stelle, quelle stelle che costeggiano il Dall’Ara, Piazza Maggiore, i portici che accompagnano San Luca. Una squadra parallela a una città, a una cultura. Bologna festeggia, nella sera dei miracoli.