Le quattro semifinaliste di Supercoppa italiana si portano appresso uno strascico a prescindere da come andrà la finale.
Per logica di cronaca, partiamo dall’Inter: cosa gli vuoi rimproverare nella gestione della partita e nell’approccio. L’Inter possiede campo e gioco per 75 minuti, non sovrasta sul piano delle occasioni – 8 a 6 – ma fa tutto quello che deve, magari mancando solo nel riempire la tre quarti per finalizzare di più. Ma è anche vero che se di nuovo parliamo di un Inter che non concretizza il dominio, allora c’è un ultimo passo di incompiutezza da assolvere per Chivu. Nella fattispecie di questa partita, forse l’errore del rumeno è stata anche nella gestione dei cambi: non si è francamente capito come non sia stato Bonny essere il primo a lasciare il campo, non si è capito perché né Calhanoglu né più Esposito siano entrati, non si è capito come Bonny sia andato sul dischetto. Perché quelli di Barella e Bastoni sono rigori calciati male, e pace, è piena la storia del calcio di rigori calciati male da campioni. Quello di Bonny invece è un inqualificabile atto di presunzione. L’Inter è la squadra che gioca meglio di tutti, Chivu sta facendo un lavoro non buono ma eccellente, ma oggettivamente questa incapacità di mandare il l’avversario al tappeto quando barcolla è il compito ancora da svolgere. C’è sicuramente tempo.

Bologna-Italiano: il pragmatismo come evoluzione del bel gioco
La lezione di Italiano da questo punto di vista è stata crescere proprio su quello che si diceva fosse il suo punto debole. Chiamiamola mancanza di pragmatismo, chiamiamolo assenza di scaltrezza, ma insomma è lì che Italiano è maturato. Il Bologna vince ai rigori una partita in cui per 75 minuti è stato messo sotto, ma ha avuto il merito di non perdersi d’animo, di essere pragmatico, di giocare da squadra che quando non può vincere almeno non riesce a perdere. Il Bologna di italiano sa giocare a calcio, ma sa essere intelligente e flessibile.e nel calcio serve anche questo.
Napoli-Conte: come annullare il Milan con scaltrezza tattica e sacrificio
Non si è mai fatto certo problemi di questo tipo Antonio Conte, ma la maniera in cui ha annullato il Milan è stata un capolavoro di scaltrezza. Ora, è evidente che il Napoli non faccia un gioco bello. È evidente che questo sia certo un’esigenza ma anche una scelta. È altrettanto evidente che questo essere più realisti del re non possa sempre bastare, come si è dimostrato nella pochezza da Champions del Napoli. Ma contro il Milan Conte è stato particolarmente intelligente, applicando ad Allegri la stessa medicina che il livornese gli aveva impartito in campionato.
Il Napoli se n’è stato asserragliato nei suoi 30 metri ma non soltanto a difesa dell’area, è stato implacabile in marcatura e reattivo nel distendersi. Certo anche sfruttato i disastri di Nkunku e Maignan, ma soprattutto ha ribaltato quello che era successo a San Siro. Lì la partita l’aveva fatta il Napoli di De Bruyne, e il Milan senza pallone l’aveva sottratto ed era andato a vincere. Qua il Milan ha dimostrato che quando ha il pallone e deve fare la partita, sistematicamente non sa come fare. Non è un caso che il Milan incocci sistematicamente contro le piccole. Il Napoli ha giocato da piccola – e non è dispregiativo, ma una fotografia dell’umiltà e del sacrificio – e in questa maniera ha totalmente espugnato i rossoneri.
Allegri e l’impunità nel calcio italiano: il caso Var e il confine superato
Sarà stato forse per distogliere l’attenzione da un evidente limite tattico, di cui Allegri è responsabile nonostante l’ottimo lavoro che comunque sta facendo, però quello che è successo a Riyad tra lui e Oriali è l’ultima di una galleria che dimostra l’impunità di allenatore rossonero.
Dove per impunità non si intende mancate espulsioni e squalifiche: quelle Allegri le riceve, e certo non è che serva il plotone di esecuzione.
Impunita nello spostare il limite sempre più in là. Non sta a me fare il censore morale: Allegri con Oriali ha indubbiamente passato il limite pur trattandosi di cose di campo, riceverà una sanzione quale che sia e a posto così, senza troppo da aggiungere.
Ma il punto è quel sentirsi impuniti nello spostare il limite sempre più in là, perché tanto qualsiasi manifestazione viene derubricata a effervescenza folcloristica. Liti di campo, escandescenze, tutto fa parte del pacchetto.
Se sbaglia paga, e finita là. E non ci sarebbe nulla da dire.
Se non fosse che in questa normalizzazione dell’eccesso, in questo “per la vittoria tutto è giustificato”, l’episodio davvero grave sia successo qualche settimana fa in Milan-Lazio. Allegri, in occasione del rigore non rigore all’ultimissimo di Pavlovic, accusò l’arbitro Collu di combinare sempre casini. Prese espulsione e squalifica e fine.
E allora cosa c’è da aggiungere, dove sarebbe l’impunità?
Nella modalità, nella libertà moralmente inaccettabile che Allegri si prese di andare a puntare l’arbitro mentre si recava al monitor Var, per influenzarlo psicologicamente nella scelta che stava per prendere, per riversargli lo stadio contro.
Dice: ma lo fanno tutti! E no, questa qui in particolare no.
Fino ad adesso nessuno aveva mai violato quella zona franca di una trentina di secondi in cui l’arbitro va al monitor o in quei due minuti in cui fa il review. Può esserci uno sbracciarsi, un “ma no che fai” mentre l’arbitro passa, ma nessuno ha fatto come Allegri che è entrato pesantemente nella serenità del processo decisionale.
Un atto di intimidazione psicologica che non è stato minimamente censurato dai media, ben più grave delle parole offensive in sé.
E per questo, nello spostare il confine più in là, Allegri si muove nell’impunità.






