Il suo nome era Gianluca Vialli, e faceva il calciatore. E all’ultimo minuto…

Cosa vuoi aggiungere a quello che è stato Luca Vialli.

Cosa vuoi spiegare di quella potenza travolgente in campo, di quella esplosività d’attacco, di quel carisma trascinante per i compagni e per i tifosi.

Di quello parleranno i video, i suoi compagni, gli avversari.

Nella difficoltà di superare e reinventarsi dopo una carriera così esaltante, a Gianluca Vialli è toccato la sua giocata più indimenticabile nel finale di partita.

In una vita ricca e interessante anche dopo l’adrenalina del campo – quando si è ripensato osservatore in assoluto tra i più apprezzati non solo in Italia ma anche in Inghilterra, con la grandezza di chi riesce a farsi comprendere da due culture differenti perché riesce a sintonizzarsi sulle diverse sensibilità – sembra incredibile pensare che il lascito più unico alle future generazioni Luca Vialli lo abbia creato nel momento più imprevisto e impensato.

Se come aveva detto lui “la vita è il 20% quello che ti succede, e l’80% come reagisci agli eventi”, allora è dagli ultimi anni, dalla nuova vita che ha vissuto come conseguenza all’imponderabile, che si sublima la giocata del tempo che è stato concesso a Luca Vialli su questa terra.

A lui così effervescente, guascone, robusto, gioioso, era toccata in sorte la debolezza e la paura.

Vediamo purtroppo sempre più personaggi, che sono persone, drammaticamente umanizzati dalla malattia, dunque non è ahinoi questa la novità.

Ma in questo capitolo finale, Luca Vialli ha realizzato qualcosa di unico.

Il suo tempo di gioco di questa partita è durato vari anni, ha avuto diversi momenti, ha avuto il terrore, una tregua che sembrava diventata spensieratezza, poi un timore, poi un’attesa, infine la paura e il presagio.

Eppure, metabolizzata la sorpresa iniziale, ha rivelato qualcosa che non si era mai visto.

La normalità della paura

La lucidità dell’emozione, dell’amore, del timore dell’ignoto.

Luca Vialli non ha mai voluto mostrarsi più grande, più forte, guascone.

Si è fatto coraggio con il coraggio della normalità.

E per quello che riguarda noi, ha avuto la forza quieta di spiegarcelo, di scostare la porta della sua fragilità, farci capire cosa significa svegliarsi ogni giorno con il pensiero che tutto possa finire.

E vivere la vita per volontà di felicità.

Come aveva raccontato a “Che Tempo Che Fa”, si era dato degli obiettivi per darsi forza: non andarsene prima dei genitori, accompagnare le figlie all’altare, potersi mettere di nuovo in spiaggia in Sardegna con un fisico presentabile.

‘Perfino il tuo dolore, potrà apparire poi meraviglioso” diceva il poeta.

E’ difficile da deglutire l’idea quando ci sei in mezzo.

Ma non scegliamo il tipo di vita che ci viene dato da vivere, e come disse Luca Vialli: “Non è una fortuna il cancro. Ma almeno ho imparato a prendermi cura di chi amo, e di me stesso”.

Cosa rimane di una vita spesa così?

Lo capiamo da Nicolò Barella. Che ha fatto correre le dita di getto trasportato dall’emozione, e ha scritto: “Per sentirmi realizzato mi basterebbe essere, per qualcuno, quello che tu sei stato per noi i questi anni”.

Già.

Quella chiamata di Mancini per essere team manager.

Quell’amicizia di una vita. E se hai la benedizione di avere anche solo un amico così nel tuo viaggio, come lo sono Luca e Mancio, allora sei fortunato.

Vialli rappresentante di sé stesso in quel ruolo, rappresentante di noi tutti, rappresentante dell’amore nostro per un pensiero comune.

E quella che ci portiamo tutti, indistintamente, come l’ultima immagine di una vita.

Quell’abbraccio a Wembley. Che non hai bisogno di spiegare quanta vita racchiudesse.

Con la consapevolezza e la paura, ché anche la morte è racchiusa nella vita.

Ogni persona che lo conosce, adesso lo ricorda con quell’abbraccio.

Quanta bellezza, in una vita vissuta così.

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