Sono passati praticamente due mesi dal 13 febbraio, cioè da quando, in un video sul mio canale YouTube da Utrecht il giorno dopo Feyenoord-Milan, rivelavo che il rinnovo di Maignan fosse fermo per volontà dei rossoneri di ricalibrare le cifre. Ad aprile, la situazione ha contorni più chiari: offerta poco sotto i 5 milioni, figlia della valutazione dei tanti errori (Como, Cagliari, Feyenoord, Torino) e dei pochi miracoli (Derby e Fiorentina) di queste settimane. Palla a Mike: a questi soldi, il Milan lo tiene volentieri, a di più, evidentemente no. Un ragionamento molto simile a quello fatto su Theo Hernandez, che però ha l’aggravante di una crisi ormai radicalizzata da mesi e mesi e, al momento, non reversibile all’apparenza, salvo miracoli futuri (del nuovo allenatore? Chissà…). Svuotiamo il campo dagli equivoci: il mancato raggiungimento della qualificazione in Champions League nulla impatta su questo tipo di valutazioni. Trattasi di scelte di campo, giuste o sbagliate che siano: sarà questo l’unico principio per cui verranno prese le decisioni di mercato in casa Milan, dove non ci si spaventa economicamente dell’annata da incubo, ma ce ne si preoccupa molto di più calcisticamente.
Non esistono le cessioni salva-bilancio: esisteranno eventualmente le cessioni di quei giocatori che non verranno ritenuti più funzionali al progetto tecnico dalla proprietà, dall’attuale dirigenza, nonché dal futuro direttore sportivo e dal futuro allenatore. A eccezione di un paio di nomi, cioè Tijjani Reijnders e Christian Pulisic, le uniche note liete di questa annata da incubo, tutti sono nel possibile calderone e verranno valutati ex novo, senza alcun tipo di pregiudizio né positivo né negativo.
Nessun processo con giustizia sommaria, né capo espiatorio: il Milan non si nasconde dietro i giocatori, che pure hanno le loro responsabilità, né l’allenatore, che non è comunque riuscito in alcun modo a migliorare le cose, anzi portandole fino al collasso. La società sa di avere enormi colpe per le scelte di un anno fa e per questo è chiamata a non ripeterle: in particolare, il riferimento è a Giorgio Furlani che anche nelle ultime dichiarazioni, non ha fatto mistero di essere consapevole delle sue grandi responsabilità sul disastro di questa stagione e proprio per questo non può permettersi di replicarlo.
Per questo, ogni decisione su direttore sportivo e allenatore va valutata al millimetro in ogni suo possibile sviluppo e ricaduta, vedi archiviazione della pista Paratici. Da D’Amico (in pole) a Tare, passando per Sartori (senz’altro il più “da Milan” del novero), le carte sono sul tavolo e Furlani – attualmente a Miami per fare ciò che gli riesce meglio, cioè “fatturare”, per dirla alla Milanese Imbruttito – si è preso qualche giorno per valutarle: prima di fine mese, per intenderci, non sono attese accelerare.
Fatto il ds, si penserà all’allenatore, fermo restando che, come da prassi, ogni candidato ha già un disegno tecnico in mente, probabilmente condiviso già con chi di dovere. Sfatiamo però un grande mito: quello che sia troppo tardi per fare le cose bene. Un anno fa, il Napoli reduce da una stagione tristemente simile a quella rossonera, ha scelto il direttore sportivo a maggio inoltrato e chiuso l’allenatore a giugno: oggi lotta per lo scudetto e se non lo vincerà non sarà di certo per quella manciata di settimane di ritardo. Una dimostrazione pratica che non importa “quando” lo fai, ma importa incredibilmente solo “cosa” fai: prendere l’allenatore sbagliato ora non diventerebbe di certo una buona mossa solo perché fatta ad aprile… Mentre per prendere Conte (stavolta, finalmente), ogni momento sarebbe indubbiamente quello buono: sarà una riflessione che arriverà anche in quel di Miami?