Home » Editoriale Calcio » La fine dell’Inter, Gerry il filosofo e Paolo il perdente

La fine dell’Inter, Gerry il filosofo e Paolo il perdente

“Sono il giocatore più perdente della storia”, disse un paio di anni fa Qualcuno*: perché perdere in campo non è un disonore incondizionato.  Un Milanista può insegnarti cos’è la sconfitta tanto quanto la vittoria: c’eravamo (come popolo, io no per motivi anagrafici) a Milan-Cavese, nella stessa misura e nello stesso entusiasmo di Milan-Steaua. Ecco perché i Milanisti non accettano lezioni di sport, da chi di sport non sa nulla. Perché provare a organizzare (senza riuscirci) una lega secondaria di football americano con un attore ex wrestler, non significa sapere di sport, mi dispiace: l’unico lato positivo del fatto che il Milan non tornerà mai più a vincere con questa proprietà è che dopo il famoso “Non parlerò fin quando non vinceremo”, quantomeno ci risparmieremo chicche come “Vogliamo davvero fare la fine dell’Inter?” o anche “Non può vincere ogni anno la stessa squadra se no diventa meno interessante”.

Gerry Cardinale
IL Milan di Gerry Cardinale: potrebbe arrivare la svolta definitiva (Ansa Foto) sportitalia.it


Questo preambolo, per spiegare che i Milanisti oggi non soffrono semplicemente perché perdono o perché vedono gli altri vincere: fatevela dare da noi, una volta tanto, una lezione. I Milanisti oggi soffrono perché stiamo (sì, stiamo, prima persona plurale) perdendo la nostra identità, perché non c’è più una guida, perché non ci sono più i valori che hanno sempre caratterizzato la nostra storia. Qualsiasi decisione presa da quest’ultima gestione è stata un fallimento: letteralmente tutte, dal campo allo stadio, fino al lato economico-commerciale. Perché prima o poi anche sponsor, partner e “clienti/consumatori occasionali” ci consegneranno il conto di essere diventati la seconda squadra di Milano. Intendiamoci: non lo siamo e non lo saremo mai in Italia, in Europa e per chiunque abbia una cultura calcistica. Non lo saremo mai grazie a Silvio Berlusconi, Cesare Maldini, Franco Baresi, Marco Van Basten, Andriy Shevchenko e Pippo Inzaghi. Ma per il target che piace tanto all’attuale proprietà, quelli che non sanno manco che a calcio si gioca in 11, figurarsi se sanno chi è Gianni Rivera, lo siamo già, perché c’è solo il presente, nessun passato (“Non sapevo che il Milan avesse meno coppe solo del Real Madrid”, cit.). E quindi magari gli accordi commerciali fashion, i cappellini e i pupazzetti li faranno solo con l’Inter. Chissà, magari così, dalla cosa più stupida e meno importante paradossalmente, qualcuno capirà il danno che è stato fatto. Il discorso è ancora molto lungo e articolato, non si può esaurirlo in questa settimana: lo riprenderemo. Ma permettetemi di chiudere con una riflessione riassuntiva: una proprietà che non reagisce, inerme, passiva, a un fallimento totale su tutti i fronti, è una proprietà che non potrà mai avere credibilità
  e fiducia in nessuna sua scelta o decisione, se non quella di vendere.

Firmato: uno – dei pochi – che la fiducia l’aveva incondizionatamente data e persino chiesta, evidentemente sbagliando.

Maldini
Paolo Maldini (ANSA) – Sportitalia

*P.S. Non mi sono scordato dell’asterisco di inizio pezzo. Quella frase – non casualmente scelta –  è di Paolo Maldini, oggettivamente una persona con alcuni limiti caratteriali, che ha sbagliato spesso atteggiamenti e toni. Ma che ha fatto più di chiunque altro la storia del Milan. A proposito di errori e di scuse, sono rammaricato di esserci arrivato tardi: evidentemente lui certe cose le aveva capite prima.

Change privacy settings
×