Ci sono quei momenti che stanno per arrivare. Lo sai, ma in quel momento il cervello si divide in due parti: quella razionale che cerca di arrivarci nella maniera più lucida possibile. E quella irrazionale, che spera solo si tratti di un brutto sogno, utopico, distante da quella realtà che ogni tanto ci ricorda che il tempo passa per tutti.

Tic toc, tic toc
Ieri pomeriggio, a Madrid, il tempo si è fermato per qualche istante verso le 17:50, 17:53. Tre sostituzioni già effettuate da Carlo Ancelotti, ne mancherebbero due. Al minuto 87 Chema Andres, talento classe 2005, si avvicina al quarto uomo. Il talento spagnolo deve ancora farsi conoscere nel mondo dei grandi, ma in quell’istante l’attenzione è tutta su di lui. Perché ogni suo passo verso la linea laterale significa soltanto una cosa: quel pensiero costante che ha accompagnato ogni tifoso blancos sta per diventare realtà. Qualche istante successivo ed ecco la razionalità che sfugge a ogni logica romantica: sulla lavagna luminosa del quarto di gara, per l’ultima volta, in rosso, viene proiettato il numero 10. L’ultimo numero 10 stampato sulla maglietta di Luka Modrić, gli ultimi passi di chi, a Madrid, ha vinto tutto.
Un eroe destinato a rimanere tale
Nell’istante esatto in cui la lavagna si illumina e Modrić gira lo sguardo verso di essa, il Santiago Bernabeu diventa una chiesa laica. Entrambe le squadre in campo, nella forma di rispetto più assoluto, omaggiano il croato con un pasillo de honor che mai è stato più giusto. Modric cerca di nascondere a sé stesso qualsiasi emozione possibile, attraversa per l’ultima volta quel prato verde in cui è diventato eroe di una storia destinata a rimanere tale all’infinito. Gli ultimi passi ci ricordano ancora il tempo che passa: lì, a bordocampo, ad abbracciarlo c’è Toni Kroos, suo partner a centrocampo. Quasi per ricordargli che il calcio finisce, il tempo passa ma la vita va avanti. E infine l’ultimo abbraccio, quello più significativo, con Carlo Ancelotti: i due, insieme, hanno vinto tutto. Da favoriti, da sfavoriti, in situazioni da film horror, dimostrando ancora una volta l’aura salvifica che spesso aleggia intorno al Bernabeu.
Una pagina che ha un nome e un cognome
La bacheca di Modrić al Real resterà nella storia: 4 campionati spagnoli, 2 coppe di Spagna, 5 Supercoppe di Spagna, 6 Champions League, 5 Supercoppe UEFA, 5 Mondiali per Club, 1 Coppa Intercontinentale FIFA. E poi il Pallone d’Oro, per uno che il pallone lo ha sempre accarezzato, domato, accudito e custodito. Ogni leggero tocco di palla ha ribaltato le leggi della fisica, ha scritto storie che gli anziani hanno raccontati ai propri nipoti e che i nipoti, a loro volta, faranno lo stesso tra qualche decennio. Perché aver avuto la fortuna di poter godere della carriera di Modrić è una fortuna immensa, al pari di Leo Messi e Cristiano Ronaldo. Il classe 1985 ha creato un nuovo ruolo, più di un ruolo: un nuovo modo di pensare, un modo migliore di essere presente in ogni situazione, anche in quelle più scomode. Ecco perché ieri il Bernabeu era una valle di lacrime, unito ad altri dolorosi addii, come quelli di Lucas Vazquez e Carlo Ancelotti. Perché nulla sarà più come prima, perché il tempo passa per tutti ma una certezza resta. O meglio, una consapevolezza: quella di aver vissuto una pagina di storia meravigliosa. Una pagina che ha un nome e cognome: Luka Modrić.