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Inter, l’eredità di Inzaghi e un futuro da decifrare

Un addio dal sapore dolceamaro, per quello che è stato e per come si è concluso un ciclo quadriennale vissuto tra alti e bassi. Ieri pomeriggio è arrivata l’ufficialità dell’addio di Simone Inzaghi all’Inter. La notizia circolava nell’aria già da un po’ e si è materializzata intorno alle 16.30 di ieri, con la nota del club nerazzurro e la lettera del tecnico piacentino.

Una lettera che non nasconde l’emozione nel salutare il proprio pubblico, così come quella amarezza molto difficile da mascherare dopo una batosta che rimarrà nella storia.  Inzaghi dice addio all’Inter e accetta la corte araba dell’Al Hilal, diventerà l’allenatore più pagato del mondo scavalcando Pep Guardiola su tutti. In Viale della Liberazione, adesso, è tempo di riflettere. Perché un ciclo è terminato e un altro ne dovrà cominciare.

Bisseck in prestito al Torino
(Foto LaPresse) Sportitalia.it

L’eredità di Inzaghi: uno scudetto, due finali di Champions League e qualche rimpianto di troppo

La questione delle ultime ore è semplice: il ciclo di Inzaghi può essere definito positivo o sufficiente? Pareri discordanti perché, nel bene e nel male, meriti e demeriti devono essere sempre divisi tra le diverse parti in causa. Sei trofei, uno scudetto che ha sancito la seconda stella sul petto, due Coppe Italia, tre Supercoppe italiane e quelle due finali di Champions League perse contro Manchester City e PSG.

Un bilancio che non può essere definito capolavoro per vari motivi, perché sul piatto della bilancia bisogna poggiare ogni elemento utile per un giudizio oggettivo: obiettivi dichiarati, filosofia sul mercato e bilancio economico. Mettendo un attimo l’Europa da parte, l’Inter in Serie A è sempre partita in prima fila per la vittoria dello scudetto. Nonostante un mercato spesso limitato, nonostante dei rimpiazzi che non sempre hanno aiutato Inzaghi e qualche infortunio di troppo che poteva essere evitato con una coperta più lunga. Nonostante tutto questo, uno scudetto in quattro anni non può bastare, soprattutto perché la mentalità che i nerazzurri hanno portato in Europa è stata ben diversa, perché le concorrenti hanno lasciato margini importanti di recupero che non sono stati sfruttati.

Spesso Inzaghi e i leader dello spogliatoio hanno affermato come l’Inter debba sempre giocare per vincere qualsiasi trofeo possibile, ed è proprio questa la base di tutto. Un mercato spesso limitato può giustificare, in parte, la stanchezza che l’Inter ha dimostrato soprattutto da marzo in poi. Provando a scindere l’ultimo anno dagli altri tre.

Questione di dettagli

Ma i jolly per tornare in vetta ci sono stati e non sono stati sfruttati. Questione di dettagli: Radu a Bologna ha condizionato il cammino dell’Inter, così come la recente gara contro la Lazio avrebbe potuto scrivere una storia diversa. In Champions League il bilancio deve essere positivo perché due finali in tre anni sono un bel bottino. Contro il Manchester City l’Inter ha disputato la partita che doveva svolgere, semmai i rimpianti sono sull’ingiustificata prestazione di Monaco di Baviera contro il PSG. Sintesi assoluta di come la squadra sia arrivata stanca, scarica e con una mentalità completamente insufficiente per affrontare una gara del genere.

Troppa sicurezza, forse (il contrario della notta di Istanbul) o troppa paura di perdere ancora dopo uno scudetto mancato. Mentalità, una delle parole chiave che Inzaghi lascia come eredità importante. Mentalità limitata, parziale. Un’eredità che è stata sfruttata bene in Europa e a tratti in Italia, sottovalutando spesso quei dettagli che alla fine fanno vincere i campionati. L’impressione è che Inzaghi abbia dato tutto nel complesso, lacune tecniche che spesso sono state colmate con una grande forza di volontà, tralasciando però alcuni particolari che avrebbero potuto portare altri trofei in bacheca.

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Simone Inzaghi (Foto LaPresse)

E ora, da dove ripartire?

Cesc Fabregas crede nel progetto Como, lo ha dichiarato poco fa. Le alternative adesso sono poche, si parla di Patrick Vieira anche se è un nome che scalda poco l’ambiente. Bisognerà capire la volontà primaria della dirigenza, perché se un ciclo finisce – oltre all’allenatore – bisognerà mettere in discussione anche il rendimento di alcuni calciatori arrivati ormai al limite delle proprie possibilità, sia per questioni tecnico-tattiche sia per questioni anagrafiche.

Il capolinea di un ciclo non deve per forza coincidere con un’altra storia immediata, bisognerà capire quanto l’Inter possa permettersi un periodo di transizione, magari con una nuova filosofia sul mercato, con giovani di ampie prospettive in grado di crescere ma, allo stesso tempo, mettersi subito in gioco. I quattro anni di Inzaghi hanno scaricato mentalmente e tecnicamente molte pedine dello scacchiere nerazzurro, pedine che dovranno adesso essere intercambiabili con forze fresche, volti nuovi, anche in base al nuovo proprietario della panchina. Perché un ciclo, dolceamaro, è appena terminato. Adesso l’Inter dovrà capire da come e dove ripartire, per costruire una nuova storia.

 

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