Sarri e il vice Immobile: il conto è salato Cosa deve evitare Allegri (Vlahovic docet)

Maurizio Sarri è l’unico allenatore di Serie A a non avere l’alternativa alla sua prima punta. Se poi la prima punta vive una stagione sfortunata, piena di infortuni e si chiama Ciro Immobile, ovvero l’attaccante più prolifico in circolazione, si può capire come sia un grande limite per la Lazio. Poi ti chiedono di andare avanti in Europa League, in Conference, in Coppa Italia, ovunque. Sarebbe bastato un piccolo sforzo, tra l’estate e gennaio, per dare una parvenza di completezza. La sconfitta contro l’AZ è figlia di due gravi errori in uscita, certo, ma anche dell’assenza di un centravanti vero, quello in grado di finalizzare. Mettere il finto centravanti può andar bene una volta, due, cinque, ma non sempre. Felipe Anderson è ammirevole, ma si è divorato tre occasioni clamorose: funziona così quando giochi in un ruolo non tuo e devi rivisitare la strategia. Guardate tutti gli organici, compresi quelli delle squadre che lottano per non retrocedere: chiunque ha almeno una riserva della prima punta. La Roma, facciamo un esempio, può giocare con Dybala per una notte contro la Juve, tenendo fuori sia Abraham che Belotti. Quando c’è Abraham, non c’è Belotti. Quando canta il Gallo, Tammy resta in panchina. Ci sembra una differenza abissale. Se Sarri parla di distanza tra un organico e l’altro, si riferisce a quelli che non sono dettagli, fanno tutta la differenza di questo mondo.

 

Eppure la Lazio è lì, malgrado un ambiente mediatico difficilissimo e in qualche parte prevenuto, salmoni alla griglia e quasi bruciati dai fatti. Di Sarri non hanno capito alcune cose, proviamo a sintetizzarle: a) il suo piano A resta il 4-3-3, da sempre nella vita, ma nello stesso tempo a Napoli ha dimostrato di poter andare, con umiltà, sulle soluzioni alternative; b) quando ha accettato la Lazio, ha ereditato una squadra bloccata sul 3-5-2 di Simone Inzaghi, come passare dall’Equatore al Polo Nord per abitudini consolidate e che ha dovuto modificare. Serve tempo; c) una squadra abituata al 3-5-2 deve utilizzare Lazzari da terzino e non da esterno, Luis Alberto da mezzala con determinate funzioni, Milinkovic-Savic idem e potemmo andare fino all’eternità; d) il mercato del primo anno è stato indirizzato non da lui, piuttosto dal direttore sportivo Tare, con risultati non sempre attendibili e accettabili. Da quando, la scorsa estate, il rapporto è stato diretto con Lotito, la musica è cambiata. Sarri ha lavorato su Marusic, ha voluto a ogni costo un gran portiere come Provedel, ha insistito su Cataldi regista, ha inventato Vecino in un ruolo diverso, ha cercato la continuità in Felipe Anderson, ha valorizzato Zaccagni e questi sono fatti tra tanti altri. Ma c’è un lavoro di base che ha ribaltato la mentalità difensiva: l’anno scorso di questi tempi la Lazio aveva incassato in campionato più del doppio dei gol attuali (19), non aveva collezionato 14 clean sheet , ora sta dando dimostrazione di compattezza e impermeabilità. Questo e molto altro non hanno capito di Sarri, in qualche caso per prevenzione mediatica, in qualche altro per superficialità. Ma per fortuna ci sono quelli che sanno ragionare senza il prosciutto sugli occhi, aspettando il famoso vice di Ciro Immobile che ancora non c’è. Un supplizio. E il conto da pagare, alla lunga, è salato (vedi Conference). Soltanto Tare finge di non accorgersene: prima di Lazio-AZ ha parlato di Cancellieri che in quel ruolo non ha mai giocato. Applausi. Torniamo al discorso iniziale: nessuno può affrontare una stagione su tre fronti con un solo centravanti.

Non abbiamo dubbi che Max Allegri a febbraio abbia fatto un lavoro psicologico importante, arrampicandosi sui problemi della Juve e cercando di compattarla. Sono arrivate le vittorie, i progressi in classifica e tutto il resto. Tuttavia febbraio è un mese tra dieci, ce ne sono altri nove. C’è qualcosa che Allegri deve evitare, ovvero parlare ogni minuto dei 15 punti di penalizzazione e ribadendo come sul campo la Juve abbia conquistato 50 punti. Lui è padrone di farlo ogni cinque secondi, ma lo sanno in tutto il mondo che la Juve sul campo avrebbe 50 e non 35. Piuttosto la domanda è un’altra: se il primo luglio scorso avessero pronosticato la Juve con 50 punti a marzo, a 15 punti dalla prima, fuori dalla Champions e con una stagione praticamente compromessa già a dicembre, quale sarebbe stata la reazione di un tifoso juventino medio? Basterebbe rispondere a questa domanda, con la schiena dritta, aggiungendone un’altra: i famosi 50 punti, con quell’organico e malgrado infortuni o problemi, non li avrebbe fatti un allenatore mediamente illuminato? Crediamo proprio di sì. Aggiungiamo: questo sarebbe il profitto dopo un mercato succulento che ha portato a investimenti enormi? Mah. Di domande ce ne sarebbero tante altre, una in particolare: ma di quei 75 milioni spesi nel gennaio 2022 per Vlahovic ne vogliamo parlare? Una cifra enorme con un ritorno tecnico assurdo, come se stessimo parlando di un attaccante costato 15 e cosa vuoi che mi interessi se segna con il contagocce… Forse basterebbe guardare la classifica degli scontri diretti: fino allo scorso inverno, prima della vittoria sull’Inter, la Juve aveva fatto virgola. In generale ha perso quasi sempre, al massimo pareggiato, cedendo per 4-0 al Chelsea, due al Paris Saint-Germain, due al Benfica, due al Villarreal (il pareggio in Spagna vale per una sconfitta, gol di Vlahovic al primo minuto e solita gestione passiva, amplificata nella ripresa e che ha portato al pareggio). Ci fermiamo perché questa è l’evidenza dei fatti. Morale: Allegri deve portare a casa almeno un trofeo, tra Coppa Italia e Europa League, per aggiungere un cucchiaino di zucchero dopo il veleno che ha fatto ingoiare – senza soluzione di continuità – ai tifosi bianconeri. Se poi lui, Max, vede una realtà che non c’è e parla di stagione positiva, problemi suoi. E di chi crede che a Palermo, il giorno di Ferragosto, venga giù la neve.

Change privacy settings
×