Contro il Genoa è mancato il colpo di fortuna come a Monza. La Juve ondeggia attorno alle discutibili certezze di Allegri. Che strazio per i suoi giocatori

Ci ha riprovato, nei minuti finali la Juve ha tentato, come a Monza, di vincere una partita ormai pareggiata. Contro il Genoa però non ci è riuscita. Aldilà delle giuste recriminazioni per un rigore non dato qualcuno può spiegarci il senso di cercare il gol della “disperazione” per vincere? Sinceramente è incomprensibile e, rete miracolosa di Gatti a parte, anche per quella partita abbiamo espresso le stesse perplessità emerse pure a Genova su una conduzione di gara troppo sparagnina, figlia di una filosofia di gioco sbagliata. Eppure contro il Napoli, i bianconeri avevano offerto ben altro. Con una conduzione di gara che rispondeva colpo su colpo agli avversari. L’avevamo scritto: il successo sul Napoli non ha nulla a che vedere con quello di Monza. Contro i liguri si è fatto, invece, un passo indietro. I motivi? L’assenza di Rabiot, la mancanza di qualità, la scarsa vena dell’attacco sono tutti alibi impresentabili. La Juventus ha la rosa più pagata della serie A. Se non gioca bene o se non ottiene risultati è colpa dell’allenatore che, a sua volta, è il più pagato del campionato. E se non dovesse vincere lo scudetto sarebbe la terza delusione nel giro di tre stagioni. Punto. Non esistono altre spiegazioni o difese di campo solo per onorare amicizie deleterie se si ambisce ad esprimere libere opinioni. Giuntoli fa benissimo a puntare, nel suo primo anno di Juve, al traguardo di un posto in Champions, fondamentale per il risultato economico che potrà determinare, ma Allegri sarebbe al suo terzo fiasco consecutivo. Non induca ad alcuna contraddizione questa riflessione perché il nuovo manager arrivato dal Napoli sta già facendo benissimo attorno a questa squadra e per la squadra del futuro. Si vede la sua mano nel riaccendere giocatori spenti e vogliosi di dimostrare altro. Si intuisce la sua attenzione sia sul mercato di gennaio che su quello estivo. È, però, emblematica la differenza di motivazioni fra tecnico e squadra. Il primo si fa forza su un contratto esageratamente lungo e su parte (ribadiamo parte) di stampa amica per procedere, tracotante, sul sentiero di un calcio che nessuno pratica più in Italia e in Europa, la seconda non vede l’ora di cambiare, spinta dall’esortazione di un intero ambiente e dalle ingiurie di un sistema lacunoso come quello della giustizia sportiva. Nel frattempo si procede apparentemente uniti anche se profondamente divisi sul piano del gioco. I giocatori vorrebbero far altro e ne hanno i mezzi, oltre che la ragione. Se qualcuno ritiene che l’assenza di Rabiot sia stata determinante contro il Genoa non sa realmente di quel che parla. Anche perché, per quanto piaccia ad Allegri, il centrocampista francese non è mai stato un mostro di continuità e di concentrazione in campo. Così come è assurdo ritrovarsi aggrappati a un McKennie che si voleva sbolognare. Questo centrocampo deve poter fare altro. E cioè aggredire e proporre gioco, senza avere l’esclusiva priorità di contenere e coprire come vorrebbe l’allenatore. Si difende benissimo attaccando. Chiedere a Gatti per sapere come si fa. Ma si può allargare anche a Cambiaso e Chiesa, altri due giocatori propositivi e vogliosi di modificare le cose. Il campionato è ancora lunghissimo e vedremo quali cambiamenti potrà ancora riservare una Juve in mezzo al guado fra passato e futuro.

Paolo De Paola

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