Un bel tacer non fu mai scritto. Sette parole per sintetizzare la prima intervista rilasciata da Thiago Motta al Corriere della Sera, pochi giorni dopo l’esonero della Juventus. Mi spiego: premesso che avrei aspettato qualche settimana o qualche mese, ma ognuno è libero di fare ciò che gli pare, sul contenuto restano dubbi e perplessità. Thiago Motta si prende un minimo sindacale di responsabilità, proprio il minimo, non vuole sentire parlare di fallimento, spiega di aver avallato il mercato, racconta a modo suo la storia della fascia e l’utilizzo di Koopmeiners, eventuali e varie. Sarebbe stato meglio citare e sintetizzare gli errori, ci sono stati o no?, piuttosto che mandare sempre la pallina dall’altra parte del campo. Ho sempre difeso Thiago Motta, fin dai tempi dello Spezia quando nessuno se lo filava per motivi diffusionali (non era una notizia che tirava), l’ho tutelato nelle prime settimane di Bologna quando non lo avevano accolto nel migliore dei modi.

Penso di essere stato l’unico a parlare di Motta negli ultimi tre-quattro anni senza prevenzioni o cose del genere, anzi proteggendolo da spifferi velenosi e senza senso. Neanche una volta nella mia vita ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Thiago, nel mondo del calcio non esistono gratitudine o riconoscenza (talvolta da parte degli stessi allenatori) e nessuno si sorprenda, tuttavia resto dell’idea che “quando si sbaglia” sia necessario dire “ho sbagliato”. La trasferta in casa della Roma, arrivata cronologicamente dopo lo scempio di Firenze, ha ripristinato un minimo di normalità (per merito di Tudor) che la Juventus avrebbe dovuto avere nelle settimane precedenti. Non è carino disquisire sull’organico a disposizione, come se fosse composto da brocchi o inadeguati, quando con metà di quell’organico avresti dovuto battere l’Empoli delle riserve in Coppa Italia e non farti crocefiggere dall’abbordabilissimo PSV nei playoff di Champions. La verità è una, bisogna essere sinceri e chiari fino in fondo: Tudor sta riportando la serenità che la Juve non sapeva più cosa fosse.

Sono le settimane della narrazione. Chi ha continuato a mandare con certezza Gasperini sulla panchina della Roma ha commesso l’errore di non fidarsi delle parole di Ranieri che aveva escluso la semplice ipotesi. Ma la narrazione (davvero bruttina, in tutti i sensi) di chi disquisisce radiofonicamente sui presunti difetti di Sarri fuori dal campo aveva previsto Paratici con certezza nuovo direttore sportivo del Milan e Mancini con certezza nuovo allenatore della Juventus: sta andando esattamente al contrario. Mancini resta nel casting per il futuro, ma è un altro paio di maniche. Io sono preoccupato, per scaramanzia, sul fatto che ora si siano accorti di Stefano Pioli in orbita Roma e lo dico per solidarietà nei riguardi di Gianluigi Longari che ha tirato fuori l’indiscrezione, meglio munirsi di qualche cornetto (non alla crema).

Ma queste sono le settimane della narrazione: lo stesso Ranieri dovrebbe essere applaudito per 15 ore di fila alla luce del suo enorme lavoro, eppure c’è chi cerca l’assurda pagliuzza per criticarlo. Incredibilmente italiane queste cose, non cambieremo il nostro modo di fare, anzi lo peggioreremo. C’è un’altra narrazione, quella che collega la crisi dell’Atalanta alle dichiarazioni dello stesso Gasp sull’eventuale rinnovo, dimenticando che pochi giorni dopo quelle parole aveva vinto per 4-0 in casa della Juve. La crisi della Dea è figlia di un inaspettato calo di forma, il resto è fantasia. Fate pace, sta scoppiando la primavera: la vita è bella come il sole che splende.