In Italia il nome di Alberto Brignoli è ricordato ad ogni latitudine da quel 3 dicembre 2017, quando il portiere di testa siglò il gol che al 94′ consegnò il primo, storico punto al Benevento dopo il ritorno in Serie A dei giallorossi. Le pieghe della sua carriera lo hanno portato oggi, a 33 anni, ad affermarsi in club di vertice in Grecia, dove ha dapprima giocato per tre stagioni al Panathīnaïkos, vincendo due Coppe nazionali, per poi firmare con l’AEK Atene dell’ex Inter e Lazio, Matias Almeyda, con il quale ha solo sfiorato il titolo in questa stagione.
Brignoli si è raccontato in una intervista a Sportitalia, confidando il sogno di giocare almeno per una stagione nella ‘sua’ Atalanta e raccontando il progetto creato con la sua nuova agenzia, la AUVI Agency.
Quanto ti trovi bene in Grecia?
“Sono contento, sì. Si sta bene a vivere qui, poi c’è un bel campionato, competitivo. Gioco sempre per vincere o per fare le coppe europee, è stimolante. E’ una scelta che ho fatto 3 anni fa, quando sono venuto al Panathinaikos, poi al termine del mio contratto ho firmato con l’AEK, dove sono contento. In mezzo c’è stato un anno e mezzo un po’ difficile, personalmente però il percorso è decisamente in crescita”.
Ai playoff arrivi da una battaglia contro l’Olympiacos.
“Abbiamo perso il campionato purtroppo. Eravamo lì, ce la stavamo giocando, poi è arrivato un doppio confronto di fila contro l’Olympiacos che ci ha frenati. Il primo in Coppa di Grecia dove abbiamo perso 6-0 l’andata, una disfatta. Il secondo poi campionato, era un po’ una rivincita: una sfida combattuta, ma abbiamo subito gol al 90′. Ora ne stiamo risentendo, ci ha tagliato un po’ le gambe, ci stiamo giocando il secondo posto ai playoff che può darci i preliminari di Champions League”.
Anche in Grecia c’è un clima caldo negli stadi, mi sembra.
“Ci sono 5-6 squadre più importanti dove allo stadio c’è un clima davvero caldo, sì. All’AEK abbiamo uno stadio nuovo da due anni, bellissimo, dove si è giocata la finale di Conference League l’anno scorso. Nei primi anni in cui sono stato qui c’erano fumogeni e coreografie in ogni partita, poi sono arrivate regole più stringenti, ma rimane tutto molto coinvolgente”.
Sei ancora giovane per essere un portiere, ma pensi già a cosa farai dopo il ritiro?
“La mia idea è quella per i prossimi 5 anni di giocare e cercare di fare il massimo, essendo portiere fino ai 38 anni, fisico permettendo, non vedo perché fermarmi. Per il dopo ho già messo in piedi qualcosa insieme ad altri 2 ragazzi”.
Di che si tratta?
“Stiamo creando una agenzia, la “AUVI Agency” che permetta sia ai giocatori che agli agenti di interfacciarsi con noi per tutta la parte di backoffice. Il giocatore è un’azienda, sia che guadagni 10 che guadagni 100. L’immagine, la parte social, il lato stampa, della tv, i servizi come quelli fiscali, bancari, assicurativi, di booking. Si potranno rivolgere a noi per queste cose, sia che gli servisse solo curare meglio l’immagine, sia che vogliano programmare i loro 20 anni di carriera al meglio. Tutti i servizi di cui ho avuto bisogno io negli anni e che non sempre ho trovato. Vogliamo fornire un servizio sia alle agenzie che ai giocatori stessi, qualunque tipo di servizio”.
Hai le idee chiare anche su un futuro ritorno in Italia, prima di smettere?
“Sì. Il mio sogno sarebbe quello di giocare almeno una stagione nell’Atalanta, sono di Bergamo”.
Magari con Gasperini?
“Mi piace un sacco lui. Mi sono riappassionato tantissimo alla Dea quando sono tornati i Percassi. Hanno fatto un lavoro di re-branding unito alla parte sportiva incredibile. Da noi si dice “Vado all’Atalanta”. E’ una cosa che mi piace tanto e giocare nella mia città, con la mia famiglia lì, sarebbe proprio la ciliegina sulla torta”.

Gli allenatori che ti hanno lasciato di più?
“Bella domanda, ce ne sono troppi perché sono stato fortunato. Da tutti, davvero, ho rubato qualcosa. Da Renzo Gobbo in Serie D fino ad arrivare a Nicola in Serie C con il Lumezzane, De Zerbi a Benevento, Toscano alla Ternana, Dionisi all’Empoli, Jovanovic e Almeyda qui in Grecia sono stati molto importanti per me. Bucchi è un mio secondo padre: è quello cui sono rimasto più legato, sia come persona che come allenatore. Poi come preparatore dei portieri dico Vincenzo Sicignano, sicuramente”.
De Zerbi difficilmente lo ritroverai all’Atalanta, ha detto che essendo bresciano…
“Non mi stupisce, lui è così: è molto radicale nelle sue idee, sia in campo che fuori da esso”.
Però lo vedresti in una big italiana dopo il Marsiglia?
“Assolutamente. L’ho avuto a Benevento, era ancora giovane, ma le sue idee erano chiare e questa è sempre stata la sua forza. Le sue squadre infatti hanno sempre avuto una forte identità. Lo vedrei bene in una big italiana, sicuramente ha bisogno di una società che gli permetta di fare il suo lavoro e di costruirsi una squadra. In tutti questi anni penso che lui abbia fatto un certo tipo di scelte per andare dove gli dessero la possibilità di costruirsi tutto ciò che riguarda la formazione della squadra. Non c’è questo concetto dell’allenatore manager in Italia, dove abbiamo il direttore sportivo e tutta una serie di figure dirigenziali e io lo vedo più manager a 360 gradi, senza filtri o mille approvazioni da dover chiedere. Si prende tutte le responsabilità, ma lavora meglio se si fa come dice lui”.
Kōnstantelias del PAOK è accostato alla Fiorentina. Ci parli di lui?
“Ci gioco contro da 3-4 anni, ha davvero grandissima qualità. E’ proprio bello da vedere. Ce ne sono tanti altri, 2-3 ragazzi giovani dell’Olympiacos per esempio che sono già in Nazionale, è un movimento in crescita. Ma Kōnstantelias è forte, guardatevi il gol del 2-1 che mi ha fatto in AEK-PAOK 2-3: mi ha fatto l’1-2 per darvi un’idea, tipo quello famoso di Baggio contro Van Der Sar. Palla lunga, era uno contro uno con me e con il primo tocco mi ha evitato, con l’altro piede ha fatto gol. In Italia avrebbe sicuramente bisogno di un minimo di adattamento, a volte non te lo danno se investono tanti soldi. Però secondo me dopo qualche mese potrebbe fare belle cose”.
Nel 2015 ti prese la Juventus. Mi racconti quel momento?
“Ho fatto la Serie D, poi ho vinto la C2 a Montichiari, la C1 a Lumezzane e sono andato alla Ternana in B. Una scalata di 5 anni incredibile e poi mi ha preso la Juventus. E’ stato il coronamento di tanti anni di sacrifici, partendo dal basso. Sapevo di non essere pronto a giocare per la Juve ovviamente, però è stata sicuramente un’opportunità importante. Sono andato alla Samp in prestito, tornando indietro sarei rimasto un anno in più a Genova, Osti e Ferrero mi dissero che la Juve era d’accordo, ma volevo giocare e andai in Spagna”.
Come nacque l’interesse dei bianconeri?
“Allegri era al Milan e mi voleva negli anni prima. Il suo collaboratore Landucci mi stimava come portiere e quindi mi hanno sempre seguito. Con il Milan non se ne fece nulla perché arrivò Gabriel, poi quando Allegri è andato alla Juventus mi hanno preso. Io ho sempre preferito giocare, facendo bene in 40 partite in Serie B piuttosto che rimanere a guardare in A. Una vera opportunità per essere titolare, a parte che a Benevento, non l’avevo mai avuta, magari rimanendo alla Samp avrei avuto una chance in più di averla”.
Donnarumma cosa ti ha detto di quel gol di testa che gli hai fatto?
“Con Donnarumma ci ho scherzato, è un ragazzo eccezionale. A dicembre ho rimesso il post del gol e lui ha scritto: “Grazie per ricordarmelo ogni anno”. E’ eccezionale. Quello è un momento che ogni anno acquista di valore.
Come hai vissuto i giorni successivi a quel momento?
“Un vortice bellissimo. Ma ero abituato ad essere conosciuto nella città in cui giocavo. Dopo questo gol ho vissuto una settimana incredibile. Era come se camminassi con un vestito giallo fluorescente dalla mattina alla sera. Ho avuto grandissima esposizione mediatica. Il padre di mia moglie era in Cina per lavoro e mi chiamò per dirmi che lo aveva visto anche lì. D’altronde era il primo punto della squadra in A, fatto grazie al gol di un portiere, contro il Milan. E’ una cosa bella del mio lavoro, che ho apprezzato tantissimo, ma credimi: non ho avuto tempo nemmeno di godermelo”.
Di Palermo che ricordo hai?
“Bellissimo. Faccio ancora fatica a parlarne nonostante siano passati tanti anni. E’ un grande rimpianto per me, eravamo fortissimi. Avevo un altro anno con la Juve, ma decisi a 27 anni di andare a Palermo per tentare di entrare in A dalla porta principale. Si era creato un ambiente interno bellissimo, ma le questioni societarie hanno veramente influito. Quando si dice: ‘Tu pensa a giocare’. Ci abbiamo provato, ma Palermo è una piazza talmente importante che se ne parlava tutti i giorni della questione societaria, sia dentro che fuori dal campo. Eravamo bombardati, isolarci era difficile ed andavamo in campo con la pressione di sapere che o vincevamo il campionato, o il club poteva fallire. Sono subentrati poi dei personaggi che definirei sciacalli, che hanno fatto operazioni che lì per lì potevano essere interpretate, ma i più attenti hanno capito che avevano degli obiettivi che erano diversi da quello di salvare il Palermo”.
Ora farai il tifo per il ritorno in A dei rosanero?
“Con la Serie B, Palermo non ha nulla a che fare. La storia, le persone, la cultura, la città: non ha nulla da invidiare alle città più grandi. Hanno una cultura forte, mi ha insegnato tanto come calciatore e come persona, è una sliding-doors come tante che ho avuto che mi è rimasta sullo stomaco e rimane un rimpianto per quanto mi sono legato”.
La promozione con l’Empoli è un altro pezzo importante della tua carriera?
“Sono arrivato da Palermo dopo il fallimento, l’Empoli era appena retrocesso e dovevamo puntare a vincere. Il primo anno non ci siamo riusciti, abbiamo cambiato 3 allenatori, non c’era stata la pazienza di aspettare. Bucchi è stato subito cambiato, poi sono arrivati Muzzi e Marino che ha ridato equilibrio. Abbiamo perso i playoff con il Chievo, poi è arrivato Dionisi. Un grandissimo allenatore e bellissima persona”.
Cos’ha portato?
“Ha ricompattato l’ambiente e abbiamo vinto. Era una squadra giovane, ma molto forte: a centrocampo alternavamo Ricci, Frattesi e Asllani. A destra c’erano Sabelli e Fiamozzi. A sinistra Terzic e Parisi. Centrali Casale, Romagnoli. Davanti c’erano Mancuso, La Mantia, Bajrami che ora è in Europa League. Dionisi fece un bel mix fra giovani e vecchi. Io poi sbagliai esponendomi un po’ troppo come da mio carattere. Dopo due settimane dalla vittoria del campionato, il direttore mi ha detto che non sarei stato il portiere. E’ stato un momento di difficoltà in cui sono stato poco scaltro, ma le cose sono andate un po’ come avevo previsto. Ma sono contento perché ho mantenuto rapporti belli con tutti e sono migliorato in tutto”.