Il doping continua a macchiare lo sport: l’ammissione shock del campione fuga ogni dubbio e riapre una ferita mai chiusa.
Lo sport dovrebbe essere sinonimo di lealtà, sacrificio e verità. In teoria. Perché poi, nella pratica, c’è un lato oscuro che periodicamente torna a galla e costringe tutti a farsi domande scomode. Il doping è una piaga che infanga la competizione e svuota di senso le imprese più straordinarie.

Non è solo una questione di violazione delle regole, ma un tradimento profondo nei confronti di chi crede ancora nei valori autentici dello sport. Ed è proprio questo che fa più male: il fatto che, dietro tanti sorrisi e trionfi, spesso si nascondano segreti pesanti come macigni.
Doping il camione ammette tutto, è scandalo
Quando si scopre che certi risultati sono stati ottenuti barando, si perde qualcosa che non si recupera più. La fiducia. E a rimetterci non è solo l’atleta coinvolto, ma tutto il sistema. Perché ogni volta che esce una verità del genere, si alza un polverone che travolge tutti: dirigenti, federazioni, compagni di squadra, tifosi. Nessuno ne esce davvero indenne. E il ciclismo, purtroppo, in questa battaglia ha avuto un ruolo centrale. Troppi casi, troppe ombre, troppe ammissioni arrivate quando ormai era troppo tardi.

– sportitalia.it)
L’ultima arriva da chi quel ciclismo lo ha vissuto in prima persona, ai massimi livelli. Bjarne Riis, vincitore del Tour de France nel 1996, ha parlato apertamente durante un convegno dedicato proprio alla storia del ciclismo. Le sue parole, per quanto non nuove, hanno comunque fatto rumore. Forse per il tono, forse per la lucidità con cui ha raccontato tutto. “Ero completamente dopato e sapevo perfettamente quello che stavo facendo”, ha dichiarato senza girarci troppo intorno. Una frase secca, diretta, che non lascia spazio a dubbi o giustificazioni.
Quell’edizione del Tour, per molti, resta impressa nella memoria per la leggendaria salita verso Hautacam, in cui Riis fece registrare la scalata più veloce di sempre. Un’impresa che fece parlare il mondo intero e che ora, a distanza di anni, assume un sapore amaro. Perché, come spesso accade, dietro a quelle gambe che sembravano non sentire la fatica c’era qualcosa di più. E non era solo allenamento.
Riis ha scelto di parlare, ora che la sua carriera è finita da tempo e che forse ha meno da perdere. Però le sue parole pesano. Non tanto per la notizia in sé, che era già nota da anni, quanto per la freddezza con cui viene confermata. Senza scuse, senza mezze verità. Solo un’ammissione cruda che riporta tutti alla realtà: quel Tour, come tanti altri, è stato falsato. E chissà quanti altri ancora lo sono stati, senza che nessuno lo sapesse.
Il doping non è solo un problema del passato. È una minaccia sempre presente, che cambia forma, si adatta, ma non scompare. E finché continueranno a emergere storie come quella di Riis, sarà difficile credere che lo sport sia davvero pulito. La speranza è che servano almeno da monito. Perché lo sport vero non ha bisogno di scorciatoie. E chi bara, alla fine, tradisce prima di tutto se stesso.