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Jashari come Lookman, ma l’Atalanta non è il Bruges

Jashari come Lookman, ma l’Atalanta non è il Bruges

Se esiste un Dio del calcio, l’arroganza con cui il Bruges si sta comportando dall’inizio della trattativa Jashari andrà punita, in un modo o nell’altro. Da quando i dirigenti si presentarono a Milano per trattare Stankovic con l’Inter, vestiti come due gemellini, ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la comunicazione di questo club non ha fatto un centimetro in avanti: li chiamano “I contadini” in Belgio, ma l’agricoltura è un’arte nobile che negli anni è andata avanti e si è evoluta… Loro evidentemente no, come dimostrato anche dalla brillante idea di mandare a parlare di cifre il capitano della squadra. Gente strana, questi del Bruges: forse era il caso di capirlo già dai precedenti. Sperando  che sia davvero l’ultima volta.

La vicenda Lookman-Inter è esattamente la fotocopia dell’affare Jashari: sembra diversa solo perché l’Atalanta ha dei modi molto più signorili e concilianti del Bruges. Per il resto, non c’è una virgola differente: invece la narrazione mediatica è importante, spesso determinante. Ecco perché, occorre mettere i punti sulle i: se pensi che Lookman “debba” andare all’Inter, a maggior ragione Jashari va liberato di corsa. E ovviamente viceversa: l’importante è non avere il solito doppiopesismo e moralismo a targhe alterne.

Al di là poi dell’essere di un’opinione o dell’altra, questa abbondanza di casi simili (vedi anche Morata-Como), ci spinge a una riflessione più profonda: dopo più di 30 anni dalla Legge che ha cambiato tutto, forse il calcio meriterebbe un’altra rivoluzione. Il rapporto tra club e giocatori va regolamentato di certo meglio, permettendo a entrambe le parti di avere maggior libertà di prendere strade diverse, secondo dei valori prestabiliti con dovizia di particolari. Mai più calciatori prigionieri di club avidi, ma anche mai più club coi bilanci in scacco dai famosi esuberi alla Arthur o Origi. Può sembrarvi una fesseria e magari lo è pure: ma fino al 1995, anche liberarsi a zero, equiparando il calciatore a un qualsiasi lavoratore, sembrava assurdo. Poi invece arrivò la sentenza Bosman: anche lui sì, belga. Ma decisamente più evoluto e lungimirante degli amici Madou e Rigaux.

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