La premessa è che non sappiamo quale sarà la decisione che prenderà Piero Ausilio rispetto al suo futuro. Ci siamo limitati alla cronaca, preannunciando un assalto quasi irrinunciabile da parte dell’Al Hilal che si è poi puntualmente verificato. Talmente rilevante dal punto di vista economico da far vacillare un dirigente che ha accompagnato l’Inter nell’ultimo trentennio, tra i vari ruoli ricoperti sino alla responsabilità di guidare la direzione sportiva della squadra.
Limitandoci alla cronaca di cui sopra, abbiamo raccontato come una decisione sarebbe stata presa dal diretto interessato solo al termine della sessione di mercato, e successivamente ad un periodo di vacanza/riflessione che avrebbe poi portato a determinare la sua scelta.
Il Presidente dell’Inter Beppe Marotta ha smentito di avere di recente dichiarato ad un media arabo autorevole che né Ausilio né il suo braccio destro Dario Baccin, avrebbero lasciato Milano in virtù di un contratto che li vincola ai vice Campioni d’Europa. Un presupposto che, preso atto della smentita di cui sopra, non aveva frenato la scelta di Simone Inzaghi di qualche mese fa.
A prescindere da quelle che saranno le evoluzioni, e da un sentimento popolare certamente influenzato dal mancato colpo da mille e una notte che i tifosi avevano identificato in Ademola Lookman, l’analisi fattuale sull’operato del management nerazzurro in questi anni deve forzatamente tenere conto della situazione di partenza e di quella in cui la società si trova al giorno d’oggi.
E la verità è che per una squadra che soltanto qualche anno fa era di fatto obbligata a cedere per tenere in piedi la propria sussistenza, oggi esiste un club che guarda con fiducia al top del Continente pur non avendo la disponibilità per poterlo fare, e si accinge a chiudere con numeri di fatturato e di bilancio che rappresentano un vero e proprio miracolo economico.
I meriti vanno chiaramente ripartiti, per una catena di comando equilibrata ed in evoluzione, che ha visto Marotta passare da Amministratore Delegato a Presidente/Azionista, e l’accoppiata Ausilio-Baccin diventare un braccio armato che ha generato plusvalenze e risultati che hanno riportato i colori nerazzurri ad un livello che li vedeva assenti da tempi in cui gli investimenti erano imparagonabili a quelli del giorno d’oggi.
Il fatto che questo percorso non sia culminato con la vittoria della Champions League è certamente un aspetto rilevante, ma che non può e non deve inficiare l’importanza del percorso e soprattutto gli sviluppi potenziali che questo ha comportato.

Uno su tutti, un’estate senza la necessità di cedere pezzi pregiati, e la prima sessione di mercato vissuta con un budget messo a disposizione dalla proprietà (un fondo d’investimento, non un mecenate, è bene ricordarlo) perchè frutto del fatturato della stagione sportiva precedente. Senza contare un aspetto che non ha valenza a livello di albo d’oro, ma che certamente determina l’appeal e fornisce una cartina tornasole attendibile rispetto al tipo di lavoro che è stato svolto. L’Inter si attesta in terza posizione nel Ranking Uefa (graduatoria legata soltanto ai risultati conseguiti sul campo): alle spalle di Real Madrid e Bayern Monaco, ma precedendo colossi della portata di Manchester City, Liverpool e PSG.
Anche per queste ragioni, giudicare gli effetti degli investimenti sostenuti a due partite dall’inizio del campionato è chiaramente un azzardo, soprattutto se relazionato ad un ciclo tecnico che è appena ripartito con un interprete differente sulla panchina che ha modificato quell’impianto collaudato e rinforzato nell’ultimo quadriennio di risultati e piazzamenti.
Dunque al netto dei dubbi che le scelte estive possono lecitamente avere generato, è opportuno che sia il campo a dare il suo verdetto, soprattutto in considerazione delle aspettative che avevano caratterizzato le stagioni precedenti e che sono poi sempre state superate dai riscontri forniti sul rettangolo verde.

A proposito di scelte che hanno generato discussione e spaccato l’opinione pubblica, c’è anche quella di Comolli rispetto alla gestione del caso Vlahovic. La decisione di trattenere il serbo perchè non sono arrivate a Torino offerte ritenute soddisfacenti da ambo le parti, è stata certamente impopolare perchè sottopone la società al rischio di una minusvalenza storica per quanto sarebbe sanguinosa.
Tutto ciò premesso, ad ogni modo, mi piace anche sottolineare il tipo di mentalità e di attitudine che il nuovo responsabile dei bianconeri sta cercando di esportare anche alle nostre latitudini. Anzitutto perchè non si può certo imputare ad una sua scelta quella di aver fatto sottoscrivere a Vlahovic quel tipo di accordo così svantaggioso per la società ai tempi che furono, ed in secondo luogo perchè ha equiparato la Juventus alla fermezza che contraddistingue i top club che dominano il continente.
Basti pensare che lo scorso anno, di questi tempi, il Liverpool Si accostava all’inizio della stagione con giocatori del calibro di Mo Salah ed Alexander Arnold in scadenza di contratto. Se da una parte è vero che il terzino ha ignorato le proposte di rinnovo che sono invece state sottoscritte dall’egiziano, lo è altrettanto che grazie al contributo indispensabile di entrambi i Reds hanno costruito una stagione da sogno culminata con la vittoria della Premier League e soprattutto hanno posto le basi per potersi permettere quel tipo di spesa da record che ha caratterizzato l’ultima faraonica campagna acquisti in favore di Arne Slot.
Situazioni impossibili da paragonare, beninteso, ma di certo tutti converranno che lottare per lo Scudetto anche grazie ai gol di Vlahovic in scadenza è certamente meglio che vivere una stagione incolore solo per avere scelto di fare della miope intransigenza il proprio marchio di fabbrica.






