Milan-Napoli con la musichetta: è bellissimo, comunque vada. Il Mago della Lazio. E quello del Bologna

Diciamo la verità: se lo scorso settembre ci avessero detto che Milan-Napoli sarebbe stato un quarto di finale di Champions e che nell’altro quarto ci sarebbe stata l’Inter contro il Benefica, saremmo cascati dal letto e avremmo riportato fratture multiple. Come quei sogni quando pensi che sia tutto bello, magico, invece poi capisci che era stata un’illusione. Appunto. Invece è la pura e sacrosanta realtà, quindi divertiamoci e che davvero vinca chi merita di più. Stefano Pioli sta sentendo parecchio l’Evento, e lo capiamo, scoprirà ancora una volta San Siro rossonero stracolmo, forse questa storia lo ha portato a snobbare l’Empoli venerdì scorso. La mentalità (sbagliata) tutta italiana porta a fare turnover a cinque giorni da una partita fondamentale quanto volete. Cinque giorni, abbiamo detto, non 72 ore. Rinunciare contemporaneamente a Brahim Diaz, Leao e Giroud è stata una fucilata sui cosiddetti, a livello di castrazione calcistica. Abbiamo letto che una rosa lunga serve per questo, ma noi la pensiamo al contrario, a maggior ragione quando le cosiddette alternative (Rebic, Origi e compagnia) hanno più volte dimostrato di essere inadeguate. Stasera ci vorrà un grande Milan, devastante sulla catena di sinistra con Theo e Rafa, attentissimo in difesa, capace di dimenticare. Cosa? La partita di campionato a Napoli, al netto del dilemma Osimhen che a Milano non ci sarà, quella stradominata per indiscutibili meriti rossoneri ma anche perché l’onda azzurra aveva deciso inconsciamente di fermarsi dopo aver “ucciso” il campionato. Il Napoli non sarà quello del recente incrocio al “Maradona” e neanche quello di Lecce. Ovvero lo stesso che aveva deciso di prendere tre punti senza grandi lampi e dopo aver imposto la legge del più forte per gran parte della stagione. Certo, avere Osimhen sarebbe determinante, ma i guai nel corso di 10 mesi capitano a tutti e bisogna saperli accettare. È una storia lunga 180 minuti, quindi -salvo clamorose sorprese – ci trascineremo il tutto fino al ritorno. È bellissimo così. E per una volta potremmo evitare qualsiasi discorso legato al mercato, dal rinnovo di Leao alla iper valutazione dello stesso Osimhen. Facciamo cantare il campo, sapendo che il Napoli rispetto al Milan ha un’invidiabile certezza in più: nella prossima Champions sicuramente ci sarà. 

Ci sono due Maghi, bisogna applaudire e pensare agli effetti che ci saranno sul mercato, sulle valutazioni, sulle scelte prese e poi soffocate. Un Mago è Luis Alberto, semplicemente perché lo chiamano proprio così. Era il presunto problema della Lazio, ora è diventato la soluzione. Lui e Sarri parlavano due lingue diverse, non esistevano vocabolari e traduttori che permettessero di avere un linguaggio comune, prevaleva l’ostrogoto. Al punto che abbiamo trascorso tre o quattro cessioni con la quasi certezza che Luis Alberto avrebbe chiesto e ottenuto di tornare in Spagna per cimentarsi nella sua Liga del cuore. Poi, all’improvviso, la scintilla post-Covid, gli allenamenti condotti in modo diverso, l’applicazione che ha portato a un feeling immediato. Adesso Luis Alberto e Sarri sono felici compagni di viaggio, come se avessero intrapreso un percorso più unico che raro, sotto lo stesso tetto quando invece avevano ormai chiamato l’avvocato per sancire il divorzio calcistico. Luis non ne salta più una, quando esce al settantesimo si incazza come una iena. E quando Sarri lo vede incazzato, non gli dice una parola, ormai si conoscono a memoria. Poi, noti quel tacco che libera Zaccagni contro la Juve e ti rendi conto che le poesie nel calcio esistono e meriterebbero un premio nelle notti degli Oscar. Luis Alberto ha un contratto fino al 2025 e la soddisfazione di chi oggi si è preso tutta la Lazio, per merito suo, entrando dalla porta principale. Inutile parlare di futuro quando il presente è pieno di splendenti raggi di sole biancoceleste.

L’altro Mago è Thiago Motta, allenatore del Bologna. Non è il suo soprannome, ma è come se lo fosse. È salito in corsa lo scorso settembre, sostituendo il povero Sinisa, il suo lavoro è quello di uno che sembra lì da due anni e non da sette mesi abbondanti. Non è soltanto il fatto di aver collezionato ben 37 punti, il Bologna ne aveva 6 al momento del suo arrivo. Oggi il Bologna è un computer, questa è la meraviglia di Thiago, gioca a memoria e non si ferma, ha una pulizia tattica straordinaria, prescinde dai singoli (sia pur importanti) e va al concetto purissimo di squadra. Thiago guarda il lavoro settimanale con quattro occhi al posto di due, se qualcuno sgarra scende dalla giostra e poi deve impegnarsi molto per risalire. Un esempio lampante si chiama Arnautovic. Non soltanto la tecnica e la tattica, ma anche la gestione figlia di un frequentatore di spogliatoi nobili quando giocava. Oggi non sappiamo se resterà al Bologna, loro vorrebbero e gradirebbero un rinnovo di contratto, se andrà al Paris Saint-Germain (che lo stima da sempre) oppure all’Inter, oggi nessuno lo sa. Certo, se chiamasse il PSG avrebbe la precedenza su chiunque, vedremo. Ma oggi sappiamo che chi affronterà Thiago Motta, da qui alla prima settimana di giugno, dovrà essere preparato quasi come se si trattasse di un esame di laurea.

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